Tabù – Gohatto
Affonda le radici nella Storia del Giappone il film con cui Oshima Nagisa torna dietro la macchina da presa dopo anni di silenzio. Un racconto dello scrittore Shiba Ryotaro (si descrivono le lotte dei samurai Shinsegumi contro l'imperatore) fornisce il pretesto narrativo attorno al quale si intreccia una delicata trama di percorsi che rende al film una dimensione di irreale e inconsistente armonia. Perché nella vita dei samurai di cui ci parla Oshima non c'è nulla di realmente schematico, non ci sono confini entro i quali trattenersi né orizzonti da non oltrepassare. A dominare, invece, è un senso di morte e di rimpianto che si fa materia e si estende negli angoli dell'inquadratura fino a farsi segno visibile nella paradossale "incorporeità" dei corpi. In Gohatto si compie un sostanziale accavallamento di opposti: la verità di una storia che ha trovato riscontro nella realtà del 1865 trova la sua incarnazione nei fantasmi che la macchina da presa segue e avvolge con la fluida circolarità del suo movimento.
La violenza del racconto e degli scontri tra combattenti esalta la musicalità delle parole, l'imprevedibilità dei gesti contrasta sapientemente con la ritualità del loro compiersi, mentre il susseguirsi ipnotico dei piani sequenza mette in rilievo la fissità dei volti e delle loro espressioni. Lo scopo, perseguito e raggiunto da Oshima qui e altrove, è proprio quello di "esplorare le conseguenze del disordine in un universo ordinato", mettere in scena una scacchiera senza più regole, che deve spingersi fino al caos prima di poter riacquistare le geometrie perdute.
La trasgressione, allora, di quei tabù cui si rimanda fin dal titolo, non deve essere ricercata tanto nei contenuti, ma si svela nella forma di uno sguardo che si porta continuamente oltre l'immagine, restando ai margini di una rappresentazione di essenziale purezza. Aereo e leggero, come un gioco sensuale in cui si mescolano dolcemente desiderio e bellezza, morte e crudeltà.
.Grazia Paganelli