Tiong Bahru Social Club, di Tan Bee Thiam

Esordio che si mostra come Wes Anderson mentre dentro cova possibili distopie alla Lanthimos. Un’acquiescenza silenziosa e ambigua che terrorizza. Oggi al Detour e mercoledì all’Asian Film Festival

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L’opera prima di Tan Bee Thiam è una commedia distopica sull’ottimizzazione della vita sociale tramite l’ausilio della tecnologia, che cerca di ribadire concetti già ampiamente esplorati nel contemporaneo. È dal 2015 che la Cina ha commissionato a diverse aziende la sperimentazione di un sistema per classificare la reputazione dei propri cittadini. SCS, sistema di credito sociale, una proposta dai tratti orwelliani che ha già prodotto distopie conosciute grazie a serialità e cinema.

Appena licenziato, Ah Bee si iscrive al Tiong Bahru Social Club per diventare agente della felicità. Il suo compito, aiutato dai dati di un’intelligenza artificiale, è quello di contribuire alla costruzione di un quartiere totalmente nuovo che ambisce a diventare il luogo più felice di Singapore. Bada ad una donna anziana, fa piccoli lavoretti all’interno del club e sempre sotto stretta sorveglianza riesce a conoscere per la prima volta l’amore. Ci sarebbero tutte le premesse per rompere l’atmosfera wesandersoniana e portare il tutto verso il thriller alla Lanthimos. Per tutta la durata del film ci si aspetta un netto cambio di rotta da parte del protagonista. Ci si aspetta un’esplosione finale come quella dell’alienato signor R di Fassbinder (Perché il signor R. è colto da follia improvvisa?, 1969), ma è difficile comprendere le scelte dei personaggi. Cos’è il manager del TBSC? Perché i desideri della donna di cui si innamora Bee non sono mai messi al centro della scena? Sembra tutto una grossa visione horror e colorata del contemporaneo. La tecnologia crea già tutti gli abbinamenti possibili per l’essere umano, si smette di scegliere e non c’è nessuna reazione. Nessun calore umano. A nessuno interessa, ed è questo forse proprio ciò che vuole comunicarci il regista, il racconto di una grande illusione che permetta a tutti di vedersi dall’esterno senza ricercare punti di contatto. Viene palesato un mondo pieno di false opzioni dove l’unica decisione da prendere è quella di non prendere decisioni. Rimane l’ambiguità e l’ambiente asettico. I personaggi diventati sempre più automi tra rapporti sociali inorganici. Forse Tan Bee Thiam non ha sbagliato nulla, forse è proprio la nostra vita che si sta anestetizzando.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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