TORINO VIEW CONFERENCE 2009 – Isaac Kerlow, the Art of 3D

Il talento visionario, quello che per gli americani si chiama visual development, a poco serve, se non è sorretto da un plot robusto e avvincente, con personaggi dalla personalità forte. Ce lo ha raccontato a Torino Isaac Kerlow, executive producer Disney, founding chairman of the Department of Computer Graphics and Interactive Media al Pratt Institute di New York, e autore del più venduto saggio sul 3D pubblicato sino ad oggi

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the art of 3dE’ uno dei pionieri della tecnologia digitale e della computer graphic applicata al cinema e all’animazione, ma anche all’intrattenimento dei videogiochi. Dal 1997 al 2004 ha lavorato alla Disney, in ruoli di executive. E’ Isaac Kerlow, uno dei più quotati esperti e cattedratici del settore. Lo abbiamo incontrato a Torino nel corso di View Conference (4-7 novembre 2009), dove ha tenuto un workshop e un intervento sulle attuali tendenze narrative nell’animazione.
Che c’entra la narrazione con gli effetti speciali? A detta di Kerlow, è il tassello più importante. Tutto parte dalla storia e se la storia non tiene, non convince, non c’è effetto che tenga. E allora iniziamo dalla sua, di storia.
“Sono nato a Città del Messico e nella mia infanzia e adolescenza ho letto molti fumetti. Credo che venga da lì la mia passione per l’animazione. Dapprima ho frequentato la scuola d’arte a Barcellona in Europa, ma è a New York che ho mosso i miei primi passi nel mondo del lavoro e precisamente alla Digital Effect”.
A metà degli anni ’80 inoltre intraprende la carriera accademica al Pratt Institute in New York, in qualità di founding chairman of the Department of Computer Graphics and Interactive Media, diventando il più giovane docente dell’istituto. In breve è diventato anche un ottimo saggista. “A quel tempo non esistevano libri su ciò che insegnavo, quindi ero io stesso a preparare delle dispense, che poi negli anni si sono trasformati in libri di successo”. E’ appena uscita l’ultima versione di The Art of 3D Computer Animation and Effects, edito da Wiley e tradotto in tutto il mondo, tranne che in Italia. Il volume è considerato la Bibbia mondiale della computer animation. Se ne trovano – e pare che vadano a ruba – edizioni in cinese, giapponese, russo e coreano.
Oggi Kerlow si diletta a fare il regista di documentari. Recentemente ne ha fatti due: che hanno in comune il tema dello tsunami e dei Vulcani in Asia. La sua ultima opera si chiama Mayon – The Volcano Princess, un documentario che è dedicato ad un vulcano nelle Filippine, ai piedi del quale vivono molte persone, che nei secoli hanno inventato tradizioni e leggende sul vulcano. Ma la sua attività prevalente oggi è quella di docente. “Ho aiutato e aiuto i giovani nel mondo a sviluppare le loro storie di animazione. Sono reduce da Praga e sono in partenza per la Malesia. Anche lì terrò un corso. Mi piace lavorare con giovani creativi under 30”.
E in sintesi Kerlow spiega al suo pubblico quali sono gli ingredienti di una storia di successo.
“Perché si guardano storie? Questa è la domanda chiave. Le guardiamo perché vogliamo imparare, vogliamo essere intrattenuti e vedere le cose da un punto di vista diverso dal nostro. Solo che chi scrive a volte dimentica questi punti fondamentali. Se un film non ha neanche uno di questi elementi piacerà al regista, a sua madre e ai suoi tre amici. Intendiamoci, in questo non c’è nulla di male, è un’idea eccellente, ma fare un film è costoso. E se lo fate per i vostri tre amici nessuno ve lo finanzierà”.
E se poi volete girare un film a Hollywood, “lì ci tengono molto al ritorno sul capitale investito. Questo vuol dire che tutti quelli che lavorano al film devono cercare un compromesso e che la storia va scritta per un vasto pubblico”. E questo Kerlow non lo vede assolutamente come un male, è piuttosto “una bella sfida, un bell’esercizio creativo, perché non vuol dire che bisogna essere superficiali, ma che occorre narrare una storia che sia facilmente comprensibile a tutti, nel mondo. Del resto ci sono storie bellissime e poetiche comprensibili a tutti. Miyazaki, ad esempio, è un genio non solo come animatore, ma sa anche creare delle storie che piacciono a tutti anche al di fuori del Giappone, che apparentemente ha una cultura lontanissima dalla nostra”.
In Europa le cose stanno diversamente, “c’è una tradizione di cinema d’autore e non c’è la fissa per il pubblico meanstream. Ne consegue che talvolta qui in Europa fate davvero film per i vostri quattro amici. Molto spesso le grosse produzioni vengono realizzate in coproduzione. E questo è un problema per chi deve scrivere. Avere tre executive producer può essere un problema per chi scrive la storia”.
Tornando all’animazione, si tratta di un genere che non sfugge a queste riflessioni. “Del resto i film più popolari da Shrek a Madagascar passando per i successi della Pixar hanno alle spalle una costruzione dello storytelling perfetta”. Il modo di narrare nel tempo è cambiato. “I primi film di animazione di Disney erano tutti costruiti attorno a storie, favole melodrammatiche, a sfondo moralista, pensiamo a Biancaneve o a Pinocchio. Ma quello era anche un periodo storico particolare, molto cupo. Mentre dopo la seconda guerra mondiale alla Disney fanno capolino storie più solari, come il Libro della Giungla”. Ma è con Toy Story che si assiste alla rottura dei generi. “Toy story introduce al cinema non solo una nuova tecnica, ma cosa ancora più rivoluzionaria introduce nell’animazione la commedia leggera. E questo farà scuola negli anni a venire”.
In sostanza senza mezzi termini Kerlow dice che l’animazione europea ha un ottimo potenziale, grazie alle diverse tradizioni, ma deve ancora maturare. Perché? “Prendete Azur e Asmar di Ocelot, è un film straordinario, dal punto di vista artistico è impeccabile. Ma la storia non è così facile da capire. Non voglio offendere nessuno, ma la storia è superficiale”. Insomma il talento visionario, quello che per gli americani si chiama visual development, a poco serve, se non è sorretto da un plot robusto e avvincente, con personaggi dalla personalità forte.
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