VENEZIA 59- 10 Registi e un demagogo: "11'09''01"
Film collettivo di 11 episodi che invitano a riflettere sulla complessità dell'evento. Tutt'altro che accondiscendenti con la “vulgata dei palazzi”, autori di provenienza diversa allargano lo sguardo e frantumano il monolito 11settembre imposto ai nostri occhi.
11'09''01, tempo limitato, derivazione di una delle tante scansioni date arbitrariamente all'incessante scorrere del Tempo, necessarie a chi scontra continuamente la propria finitezza. Attimo scolpito, fatto simbolo, reso finito per poter essere posseduto e stigmatizzato di fronte al mondo, da chi al mondo vorrebbe imporre uno sguardo unico. Ma nello stesso istante in cui la "scultura temporale" diventa film, cambia struttura e inizia un percorso di frantumazione che fa diventare la data titolo e in questo caso anche durata/data agli 11 cortometraggi che lo compongono. Se poi si chiede a 11 registi di ricreare il loro il loro punto di vista secondo la propria coscienza, avremo altri 22 (con l'incoscienza) 11settembre che si dividono ancora tra i vari personaggi e da questi passano agli spettatori (che si presumono "vedenti"). La Storia si fa storie, l'oggettivo diventa soggettivo e l'uomo individuo.
Basterebbe guardare com'è diversa l'ottica dei bambini della Burkina Faso, che nell'episodio di Idrissa Ouedraogo si trovano di fronte Osama Bin Laden e pensano a quante penne, matite e medicine potrebbero comprare con la ricompensa del suo arresto. Neanche riescono a scriverla, la cifra della taglia, sanno solo che sono un sacco di soldi e si "armano" per dargli la caccia. Con dolcezza e ironia, Idrissa mostra lo sguardo capovolto di un continente che vive tragedie quotidiane, facendocene sentire contemporaneamente la voglia di vita attraverso i volti giovanissimi e il decollo di un aereo nel finale. Un capolavoro assoluto.
Si affidano invece alla retorica Samira Makhmalbaf e Youssef Chahine. La prima parla delle difficoltà degli iraniani a comprendere l'evento e attraverso la lezione di una maestra, a bambini che vanno a scuola in una grotta mentre i genitori costruiscono bunker antiatomici con mattoni di fango, ci spiega comìè difficile chiedere 1minuto di silenzio a chi non sa cos'è una torre.
Fa retorica come Chahine, anche se questi ha il coraggio di mettersi in discussione personalmente. L'egiziano (cattolico) intesse una storia in cui si confronta con le ragioni di un marine morto in Libano e con un attentatore suicida palestinese; fa parlare le loro famiglie e mostra un'ovvia condanna morale della violenza in ogni luogo e sotto ogni bandiera.
Alle tragedie dei propri popoli guardano anche Amos Gitai, Danis Tanovic e Shoei Imamura. Il primo ci porta nei minuti seguenti ad un attentato a Gerusalemme, con una giornalista che assale i soccorritori alla ricerca di informazioni, preoccupata di accumulare notizie sulla sua diretta e ignara di ciò che sta accadendo a New York. In pratica sfrutta l'occasione per ripetere il già detto.
Ben più profondo Imamura, che filma la disumanità della guerra nella storia di un reduce del conflitto tra Giappone e Cina, il quale, scioccato dalle esperienze vissute, ha scelto di non essere più uomo e diventare serpente.
A ricordare la guerra tutta ci pensa anche il bosniaco Tanovic, che in una Srebrenica triste e di sole donne (più un uomo senza gambe), fa sfilare le vedove con in mano lenzuola con le date di nascita dei mariti.
Storia di donna anche nell'11'09''01 di Mira Nair, che riprende il fatto realmente accaduto ad una madre musulmana che l'11 settembre ha perso il figlio. La regista si immedesima con il dolore di chi, oltre alla violenza, subisce anche la "caccia alle streghe" post attentato, che prima fa del figlio un terrorista, poi, scoperto il suo corpo tra le macerie, un eroe.
Infine gli sguardi "occidentali". Claude Lelouch, da Autore nouvelle vague, legge anche l'11 settembre attraverso la sua poetica, immedesimandosi in una sordomuta francese che vive a Manhattan con una guida turistica americana (per sordomuti). Sul punto di lasciarsi, quando lui esce per accompagnare un gruppo alle TT (tt?) lei gli scrive una lettera d'addio ("la fine di una coppia è la fine di un mondo") ignara di quanto stia trasmettendo la TV in primo piano. Nel silenzio assordante, senza parole, il suo ritorno lascia spazio alla rinascita.
Anche Sean Penn ambienta la sua storia a New York, costruendo un autentico capolavoro di 11'09''01. Ernest Borgnine è un vecchio e grasso americano che conduce una vita monotona in una casa buia, convinto di avere ancora la moglie a cui cambia vestito ogni giorno. Il crollo delle "tt" gli mostrerà l'assenza delle sue sicurezze, ma gli porterà anche la luce che fa sbocciare i fiori.
Paragonando lo sguardo poetico e critico di Sean Penn all'episodio di Inarrittu, ci si rende conto di cosa possa essere la globalizzazione e come si possa diventare più realisti del re. Il messicano mette sotto uno schermo nero, in cui appare a sprazzi la "famosa" caduta dalla finestra, preghiere e voci musulmane e concludendo con la frase "la luce di dio acceca o illumina?". Banalmente accecante.
Infine, tristemente, ci tocca ancora una volta commentare l'ennesima prova filmica di Ken Loach, un uomo che rende esemplare il giudizio di Giona A. Nazzaro sul cinema inglese.
Ken, la coscienza della sinistra italiana, il regista che registra gli applausi più lunghi della platea paraveltroniana spiegandoci il motivo per cui ci ritroviamo in questo Stato, ci ricorda che l'11 settembre è anche la data del golpe cileno. Lo fa filmando un rifugiato a Londra, che scrive una lettera ai parenti delle vittime delle "tt" ricordandogli quello che gli americani hanno fatto nel suo Paese (naturalmente con tante immagini del Cile e citazioni di Allende). Sarebbe a dire: come fare il gioco del potere facendo finta di fare il contrario; annullare l'individuo per metterlo a servizio dell'Idea. Per Loach, come per Bush, 11'09''01 deve essere una data Storica, da preporre e imporre come monito. Demagogia pura.