VENEZIA 62 – "Hongyan", di Li Yu (Orizzonti)

È veramente una piacevole sorpresa questo film realizzato dalla giovanissima regista cinese di "Fish and elephant" del 2001. Modellato sulle vergogne delle chiusure mentali ed all'interno di cornici spaziali che si aprono sulle gote rosse (ma non di vergogna) della giovinezza negata o costruita nell'inganno.

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L'espressione cinese "Hongyan" che letteralmente significa "viso truccato" è in realtà alquanto ambigua, il suo significato lascia spazio all'immaginazione. Xiao Yun è una ragazza di sedici anni che frequenta la scuola durante il periodo degli anni '80 in Cina, in un piccolo paese alle rive di un fiume. La sua incantevole riservatezza in realtà nasconde sentimenti profondi, emozioni che non possono essere espresse nel clima di repressione sociale che attanaglia la società cinese. La sua reputazione e le sue prospettive future vengono irrimediabilmente sconvolte quando senza volerlo resta incinta. Viene espulsa dalla scuola e la madre per non compromettere definitavamente la sua esistenza e quella della figlia, fa credere a tutti, dopo il parto, che il bambino è morto. In realtà lo ha dato in adozione ad una coppia che non può avere bambini. Dieci anni dopo la vita di Xiao Yun non è proprio quella sognata: è costretta ad arrangiarsi come cantante pop in squallidi locali della città, mentre le sue inclinazioni artistiche sarebbero più consone alla raffinatezza dell'Opera di Sichuan. Marchiata per sempre come una "puttana", gli uomini non perdono tempo a molestarla e circuirla. Un giorno s'imbatte in un piccolo ragazzo pestifero con il quale instaura un rapporto forte e coinvolgente. Scoperta nel 2001, proprio a Venezia, con Fish and Elefant (storia di amori e piaceri lesbici) nella sezione "Nuovi Territori", la ventinovenne cinese Li Yu, segue nel suo secondo lungometraggio una narrativa classica, per raccontare la storia di una donna di oggi schiacciata dal peso di una tradizione opprimente e statica. Il ragazzino è il conforto spirituale. Il film si apre con la protagonista che sembra voglia suicidarsi annegando nel fiume, ma da quel punto in poi tra ellissi e stacchi di sequenza, l'uso dell'immaginario si fa sempre più sperimentazione di realtà. Il rapporto tra una madre e un figlio, senza saperlo o volerlo, lontano dai vincoli sociali e sgorgante di sangue che scorre unico in due corpi separati dieci anni prima. C'è uno sguardo sobrio, duro, a volte impietrito, fuori da neoesotimi o dai riti estetizzanti delle nuove generazioni "fareast". È veramente una piacevole sorpresa questo film, modellato sulle vergogne delle chiusure mentali ma anche all'interno di cornici spaziali che si "aprono" le gote rosse (ma non di vergogna) della giovinezza negata o costruita nell'inganno.  È un piccolo film, che contiene il rifiuto e la consapevolezza di un conflitto comune alle donne che devono inventarsi una vita nei luoghi più disparati del mondo.  

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