VENEZIA 63 – "Non ho voluto raccontare del passato per riferirmi al presente, ho voluto raccontare una storia in cui emergono i tratti della crudeltà che domina l'essere umano." Incontro con Paul Verhoeven

Il ritorno di Paul Verhoeven in Europa è segnato da "Zwartboek" un film in cui il regista olandese abbandona gli effetti speciali per dedicarsi interamente alla storia e ai suoi personaggi. Questo percorso desta curiosità e le sue risposte servono a chiarire ogni eventuale dubbio

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Tornato sui set europei con questo Zwartboek (Il libro nero), dopo la lunga permanenza a Hollywwod, Paul Verhoeven pare davvero felice di ritrovarsi nel proprio continente per raccontare una storia olandese e dimostrare che è possibile fare un film, con basso budget, senza effetti speciali, ma che riesca a colpire il cuore del pubblico. Il film conferma le sue doti registiche sui grandi set con un risultato finale di grande effetto e di grande impatto emotivo.

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Questo film, rispetto ai precedenti, costituisce un radicale cambiamento perché ciò avviene proprio in questo momento, si tratta forse di una sorta di riflessione sui diritti dei vincitori, di quel che accade dopo una guerra quando si continua a perpetrare la violenza…


 


Stare negli Stati Uniti mi è servito a guardare da lontano alcuni avvenimenti e a mettere a fuoco alcuni effetti di situazioni in cui mi pare sia emersa chiaramente l'ambiguità e l'assenza di moralità della natura umana. Il mio interesse è stato suscitato dagli eventi di questi anni, ma con il mio film non ho voluto raccontare del passato per riferirmi al presente, ho voluto raccontare una storia in cui emergono i tratti della crudeltà che domina l'essere umano. Certo esiste un collegamento con l'oggi, perché in qualche modo la storia si ripete, ma nel mio film non echeggia il presente nel passato.


 


Sembra che sia voluto tornare alle sue radici olandesi, il suo rapporto con Hollywood quando ha contato in questa decisione?


 


Dopo l'ultimo che ho girato a Hollywood (Hollow Man – L'uomo senza ombra) volevo fare un film che mi toccasse il cuore e ogni copione che leggevo non mi sembrava convincente, non avevo alcuna voglia di girare un film con gli effetti speciali, cercavo una storia con una propria ricchezza, una vera profondità e mi sembrava difficile trovare tutto ciò in America. In questo senso il mio film nasce con una sua dialettica, ha una genesi molto personale.


 


Ha il timore che il suo film venga considerato revisionista?


 


In verità non ci ho mai pensato. Non posso negare che in effetti il film riapra alcuni momenti dimenticati della storia del mio Paese, per cui, se non si vuole attribuire alla parola "revisionista" un valore politico negativo, il mio film è revisionista. Per realizzarlo ho lavorato per mesi sulla storia olandese, recuperando i fatti che racconto nel film da varie pubblicazioni e studi che pure esistono e che sembrano dimenticati. Mi chiedo come mai nessuno prima abbia pensato di raccontare questi fatti.

Nel film un ufficiale tedesco viene fucilato dai propri commilitoni dopo la liberazione da parte dell'esercito canadese, ci si chiede come è possibile che i canadesi lo abbiano permesso?


 


Questa è la verità! In effetti ciò che racconto nel film è vero. I tedeschi potevano giustiziare i soldati del proprio esercito anche se ciò può sembrare assurdo. Abbiamo deciso che questo doveva apparire nel film soprattutto per rimarcare quell'assenza di moralità di cui parlavo prima.


 


Ci può raccontare come ha costruito il film e se i personaggi e i fatti che si vedono sullo schermo sono veri?


 


Il film come dicevo nasce dalla riflessione sulla condizione umana e anche se richiamerà alla mente i fatti di Guantanamo o Abu Ghraib voglio precisare che lo script del film è precedente alla pubblicazione di quei fatti. Quanti invece ai fatti narrati e ai personaggi va precisato che come scrivo all'inizio il film racconta avvenimenti realmente accaduti in Olanda in quel periodo, ma la storia del film non è vera, per cui il film, come è precisato all'inizio è solo ispirato a fatti realmente accaduti.


Abbiamo lavorato per condensare più avvenimenti in un'unica storia e la stessa cosa è accaduta per i personaggi. Ad esempio il personaggio di Rachel non è reale, questa figura nasce dalla fusione di due persone realmente esistite, una che ha lavorato per i tedeschi, ma che da questi fu uccisa e l'altra di Rotterdam che lavorava per la resistenza e che fu accusata di tradimento e fu uccisa dalle milizie della resistenza stessa. Così la figura del capitano Müntze. Il personaggio si ispira ad un ufficiale dell'esercito occupante che non venne ucciso come invece accade nel mio film.


 


Lei si era già occupato di quel periodo della storia olandese in Soldato d'Orange che rapporto esiste tra i due film?


 


Alcuni elementi di questo film sono stati pensati durante la lavorazione di quello e quindi hanno costituito la base per la realizzazione di Zwartboek e in qualche misura questo film nasce da quello, ma sono due aspetti completamente diversi della stessa storia dell'Olanda.


 


Ancora qualche curiosità: il finale sembra senza speranza, lei crede che le guerre ci saranno sempre e infine, come mai ha incorniciato la storia scegliendo Issale come punto di partenza e di arrivo?


 


 Mi sembra davvero difficile avere grandi quantità di speranza quando nel secolo scorso sono state uccise, grazie alle guerre, solo in Europa, 150 milioni di persone. Tutto ciò non fa sperare bene per il futuro è nella natura dell'uomo il comportamento criminale.


Quanto alla seconda domanda, mi sembrava naturale, per una donna che aveva attraversato tutto quelle drammatiche, se non tragiche vicende, radicare la propria vita in Israele.

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