VENEZIA 65 – "Jerichow", di Christian Petzold (Concorso)

Il regista tedesco, per la prima volta a Venezia, autore teatrale e televisivo di successo nel suo Paese, si era messo in luce, nel panorama internazionale, lo scorso anno al Festival di Berlino, con Yella. Gira in una zona decadente del nordest e focalizza il suo sguardo sul senso di appartenenza, di smarrimento e sul desiderio di ricominciare. Sembra però girare a vuoto questo cinema, che si sforza di trovare spazi melodrammatici e teorie minimaliste

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jerichowIl regista tedesco, autore teatrale e televisivo di successo nel suo Paese, si era messo in luce, nel panorama internazionale, lo scorso anno al Festival di Berlino con Yella, consentendo alla sua attrice Nina Hoss (protagonista anche in quest’ultimo film) di vincere il premio come migliore interprete. Si presenta in concorso per la prima volta a Venezia e lo fa con una storia ispirata alle atmosfere minnelliane (evidenti il rapporto con Qualcuno verrà) e ad un fatto di cronaca verificatosi nel nordest della Germania. Un piccolo imprenditore turco ha fatto soldi lavorando come gestore di 45 snack-bar della zona, fornendo ad essi bevande. Ha sposato una bella e misteriosa donna tedesca e un giorno per caso conosce e assolve come autista Thomas, uomo di poche parole e un passato nell’esercito. Tra i tre si instaura una strana quanto torbida relazione, fatta di passioni, segreti e rapporti di dipendenza destinata a concludersi drammaticamente. Riconosciuto tra i fautori della rinascita del cinema tedesco, Petzold gira in una zona morente di un paese europeo ricco e focalizza il suo sguardo sul senso di appartenenza di un turco che non si sente accettato e che ha comprato la sua donna piena di debiti e di un ex-soldato che è tornato nella sua terra nativa alla morte improvvisa della madre. Si lega a storie desolanti di uomini capaci di costruirsi qualcosa anche quando sembrano mancare i presupposti per poterlo fare. Sono isole sperdute quelle in cui i suoi protagonisti si muovono, sperimentando senso di smarrimento ma anche il desiderio di ricominciare. Sembra però girare a vuoto questo cinema, che si sforza di trovare spazi melodrammatici e teorie minimaliste. Cinema che barcolla tra l’autorialità enigmatica e la voglia di raccontare spesso mal celata o probabilmente mal calibrata. La sensazione è quella che spesso riscopriamo con il nostro cinema: un gap tra le capacità recitative degli attori, tutti molto bravi, e una scarsa, quanto avvilente, capacità di far circolare tanta predisposizione.

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