VENEZIA 66 – "Pepperminta", di Pipilotti Rist (Orizzonti)

pepperminta

La Rist e il direttore della fotografia Pierre Mennel compiono autentici miracoli visivi, ne viene fuori però un profluvio di suoni e colori che a lungo andare smette di interessare lo spettatore

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peppermintaPipilotti Rist è una videoartista svizzera di fama e talento indiscutibili. La sua ultima istallazione è stata rappresentata nel 2008 al Museum of Modern Arts di New York. Pepperminta, suo lungometraggio d'esordio presentato nella sezione 'Orizzonti', proviene direttamente da questa forma espressiva limitandosi a sviluppare un canovaccio drammaturgico quasi inesistente, in cui la protagonista il cui nome dà il titolo al film cerca di far vedere il suo mondo colorato e di fantasia a tutti i personaggi che incontra, all'interno di una ricerca formale tutta giocata sul rapporto sensoriale tra schermo e spettatore. Infatti il film dal punto di vista estetico è ineccepibile. La Rist e il direttore della fotografia Pierre Mennel compiono autentici miracoli visivi, spremendo quanto possibile soluzioni sperimentali quali il cromachi, la desaturazione dei colori, rallenti e improvvise accelerazioni, grandangoli. Vorrebbe essere un inno a una nuova vita percettiva Pepperminta, quasi ancora utopisticamente ancorato alla possibilità soggettiva di una nuova realtà quasi huxleiana, di cui la protagonista si fa portavoce nel suo diffondere profumi, odori, colori, come un'autentica spacciatrice di sogni psichedelici. Siamo quindi più nei territori di un umanesimo pop, che in quelli dello spiritualismo new age, rispetto al quale infatti il film della Rist rivendica una natura ironica fin troppo naif. Attingendo a piene mani da un immaginario iconografico e culturale profondamente sixties, al punto che i costumi indossati dai personaggi sembrano riprendere piuttosto esplicitamente il look dei Beatles nel periodo acido di Sgt. Pepper's lonely hearts club band e del Magical Mistery Tour, Pepperminta imbastisce per 80 minuti, che finiscono col diventare persino troppi, una serie di situazioni improbabili, comico-surreali, con influssi dal videoclip e dalla videoarte, ma anche qua e là con certe influenze provenienti dal cartoon. Ne viene fuori però un profluvio di suoni e colori che a lungo andare smette di interessare lo spettatore. Così ben presto – dopo la piacevolezza di un iniziale straniamento – il film collassa sotto il peso di un isterismo cinetico e cromatico che anzichè renderci partecipi di un mondo ce ne allontana irrimediabilmente, facendoci rimanere spettatori di una maestria artistica fine a se stessa.

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