VENEZIA 67 – “Hora proelefsis” (Homeland), di Syllas Tzoumerkas (Settimana della critica)

 hora proelefsis
Alle vicissitudini di una famiglia greca disastrata fa da controcampo la Grecia storica, quella delle manifestazioni degli anni '70 ma anche della crisi attuale. Un'opera dura, sovraccarica, morbosa, che richiede l'impegno dello spettatore per riallacciare una trama sfilacciata

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hora proelefsisEvidente già dal titolo internazionale, questo film è un omaggio alla Grecia, un atto d'amore verso la propria madrepatria stremata, logorata, distrutta. Un'opera dura, sovraccarica, morbosa, che richiede l'impegno dello spettatore per riallacciare una trama sfilacciata da intricati montaggi paralleli serratissimi che intersecano luoghi e tempi diversi. Il riferimento ai marchingegni narrativi che lo sceneggiatore Arriaga ha costruito per Inarritu è immediato, ma l'ambizione di quest'opera è ancora più alta perchè tenta la più complessa delle connessioni: quella tra pubblico e privato, tra microstoria e macrostoria.

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Una donna considerata inadatta a crescere il proprio figlio è costretta, come molte donne greche tra gli anni '70 ed '80, a lasciare che questo venga adottato da una coppia di suoi parenti, evento che accentua gli squilibri privati dei singoli e provoca l'incancrenirsi delle relazioni, fino al parossismo.
Alle vicissitudini di questa famiglia disastrata fa da controcampo la Grecia storica, quella delle manifestazioni degli anni '70 ma anche della crisi attuale, attraverso filmati d'archivio misti a ricostruzioni sul set. Eppure i due universi stentano molto ad interconnettersi, a comunicare, rimanendo l'uno lo specchio dell'altro sul piano del montaggio ma senza assomigliarsi mai sul piano della narrazione. Il filo conduttore ambisce ad essere la definizione di Libertà, in tutte le sue espressioni ma soprattutto nelle sue privazioni, ma la costruzione del film risulta troppo dispersiva, troppo carica per concedere i giusti tempi di riflessione.
Per permettere allo spettatore di assaporare l'anima di una storia, è necessario che l'autore metta in gioco se stesso, che si riveli, che si analizzi. Certo, ogni storia è autobiografica nella misura in cui illustra una lettura unica e personale di qualsivoglia evento, ma molto spesso i registi giovani hanno la tendenza a fraintendere: rivelare se stessi è una questione stilistica, ben lontana dal costruire un film-contenitore abbastanza ampio da accogliere tutte le tematiche care ad un autore.
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