VENEZIA 69 – "Lullaby to my father", di Amos Gitai (Fuori Concorso)

lullaby to my father
La memoria è una questione di frammenti o, meglio, del loro montaggio. È questo che emerge dalla visione di Lullaby to My Father, che, come il precedente Carmel, lavora su molteplici registri visivi e sonori, dalla finzione al montaggio di testi e fotografie, fino all’esplorazione di spazi architettonici particolari. Materiali eterogenei solo in apparenza che in realtà lavorano seguendo una precisa trama o, per meglio dire, una precisa architettura

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

lullaby to my fatherSi può raccontare la Storia, le ferite della Storia, attraverso immagini pensate come omaggio di un regista nei confronti dei propri genitori? Ovviamente ogni storia personale è, o può essere Storia universale, è capace di incrociarne gli eventi, testimoniarli, subirli. Ma raccontare la storia della propria famiglia implica uno sguardo che non è solo volontà di racconto ma è anche preghiera, lettera, ballata, ninnananna. Lullaby to My Father è la seconda parte di un progetto particolare (iniziato con il film su sua madre, Carmel, nel 2009, che Amos Gitai sta portando avanti da alcuni anni, quello di ripercorrere la storia della sua famiglia, raccontarla come sfida personale, come possibilità in più per mettere in gioco la memoria attraverso il cinema.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

La memoria è una questione di frammenti o, meglio, del loro montaggio. È questo che emerge dalla visione di Lullaby to My Father, che, come il precedente Carmel (ripresentato, tra l’altro in questa edizione della Mostra, a sottolineare il legame tra i due film), lavora su molteplici registri visivi e sonori, dalla finzione al montaggio di testi e fotografie, fino all’esplorazione di spazi architettonici particolari. Materiali eterogenei solo in apparenza che in realtà lavorano seguendo una precisa trama o, per meglio dire, una precisa architettura. Se infatti Carmel raccontava attraverso la madre di Gitai, poetessa e scrittrice, una Storia che procedeva avanti e indietro nel tempo, che si sviluppava mediante un flusso di parole e immagini, lettere e visioni del passato prossimo e remoto di Israele, in Lullaby il montaggio dei materiali, la personale visione di una memoria filmica sono organizzati attraverso una precisa visione architettonica. Munio Gitai, padre di Amos e famoso architetto, proviene dalla scuola del Bauhaus, ha studiato con Kandinskij e Gropius, porta con sé l’eredità di un’Europa che crede nella modernità architettonica come possibilità di costruire spazi di libertà. L’architettura per Munio è politica, è utopia concreta, come lo spazio stesso della scuola, esplorato nel film con rigorosa attenzione, con uno sguardo attento alla dimensione geometrica dello spazio filmico. Se il ritratto della madre è soprattutto flusso di parole che si fanno immagini, il ritratto del padre si configura come montaggio di immagini che si fanno spazio geometrico, memoria organizzata secondo precise, appunto, architetture. Ecco allora l’incipit del film, la scena, necessariamente di finzione, della nascita di Munio, con sua madre (una stupenda Yael Abecassis) che vaga in un bosco di campagna, alternata a stacchi continui di brevissime inquadrature di bambini. Il montaggio costruisce uno spazio, non lo rivela: ecco il passaggio fondamentale. La nascita immaginata di Munio si trasforma poi in un collage progressivo di foto, immagini di Munio e delle sue opere, del suo viso, del suo corpo, ma anche della sua scrittura, dei suoi disegni e progetti. Un altro montaggio, un’altra costruzione architettonica della memoria: le foto colmano e cancellano gradualmente lo spazio nero dello schermo.

Alla dimensione delle immagini montate si aggiunge poi la testimonianza impossibile (perché è impossibile ricostruire la memoria, la si può però creare) della nipote di Munio, la figlia di Amos, che non può che parlare del nonno attraverso il proprio padre, attraverso quelle tracce che rimangono o che si pensano tali.
Procede allora così il film, alternando forme e stili differenti, dimostrando ancora una volta che ogni ritratto cinematografico (anche, se non soprattutto il più intimo, come il ritratto di un padre) è necessariamente legato al corpo e allo sguardo di chi è ritratto. La parola e il flusso in Carmel, diventano geometria e spazio architettonico in Lullaby.
Ma come in Carmel il ritratto di una madre si dissemina in un ritratto universale e si trasforma nel flusso della Storia d’Israele, nella sua utopia e nel suo fallimento, così in Lullaby, il ritratto di Munio Gitai diventa il ritratto di un’altra utopia, di un’altra visione politica, quella di un’Europa che si contrappone al Nazismo nascente con un progetto di apertura concreta (“il Bauhaus non è uno stile, ma un modo di fare”, si ricorda nel film).
Non esiste allora un rapporto unico tra cinema e memoria (come potrebbe?) esiste però l’urgenza, la necessità di interrogare lo spazio di questo rapporto, in modo sempre diverso, con forme necessariamente cangianti.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array