VENEZIA 70 – Rischi, certezze, domande

Annata importante per la Mostra del Cinema di Venezia: l’anniversario della settantesima edizione, il secondo anno della gestione Barbera, la concomitanza con uno dei concorsi cannensi più straordinari e celebrati degli ultimi anni. E allora questa selezione (sulla carta) ci appare sicuramente una buona risposta alla complessa annata, con interessantissine scommesse, ma anche con qualche dubbio…

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Annata importante per la Mostra del Cinema di Venezia, per tanti motivi, e lo si sapeva: l’anniversario della settantesima edizione, il secondo anno (sempre molto delicato) della gestione Barbera, la concomitanza con uno dei concorsi cannensi più straordinari e celebrati degli ultimi anni. C’era, allora, molta attesa per vedere svelato il programma di questa Selezione Ufficiale dopo la bella notizia dell’attesissimo Gravity di Alfonso Cuaròn che aprirà il 28 agosto in Fuori Concorso.

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Alberto Barbera parla di “una mostra che saprà alternare con equilibrio gli spunti più interessanti del cinema mondiale odiernoe sottolinea con orgoglio che per la prima volta nella storia ci saranno due documentari in concorso (l’italiano Sacro GRA di Gianfranco Rosi e The Unknow Known del veterano Errol Morris). Una selezione soddisfacente per il direttore perché “ai soliti noti, i grandi autori, si affiancheranno tante novità, opere prime, scoperte e anche il glamour. C’è un po’ di tutto insomma. E vi assicuro che Gravity è un film impressionante”. E, in effetti, anche a una rapida occhiata del Concorso si nota subito un tasso di scommessa, di rischio, maggiore rispetto allo scorso anno: il giovane greco Alexandros Avranas, l’occhio estremo e coraggioso del canadese Xavier Dolan, l’habitué di Cannes in trasferta veneziana Merzak Allouache, “il film durissimo” di Philip Groning, l’indie americano di David Gordon Green, della solitamente grande Kelly Reichardt e dello sceneggiatore Peter Landesman al suo esordio con un film (Parkland) che configura le drammatiche ore successive all’omicidio del presidente Kennedy. Infine l’ormai immancabile sguardo festivaliero di James Franco.

Spazio anche ai veterani come Amos Gitai, Stephen Frears e le due felicissime notizie di Terry Gilliam e Philippe Garrel. “Può sembrar strano 3 britannici in concorso, ma è stata una grande annata e ce ne potevano essere anche altri” dice Barbera: quindi Jonathan Glazer e John Curran oltre al padre nobile Frears. Per gli italiani “mi piace dire che questi tre film rappresentano, in pieno, tre forti anime del nostro cinema: il documentario veramente intenso e visionario di Gianfranco Rosi; un grande maestro come Gianni Amelio che torna a Venezia e infine un esordio prestigioso, quello di Emma Dante, che vi assicuro vi stupirà come ha stupito noi”. Infine “due eccezioni al numero di 18 film che mi ero sempre prefissato, due grandissimi maestri asiatici che hanno portato a venti i film scelti: Hayao Miyazaky che ci teneva tantissimo a entrare in concorso e Tsai Ming-liang con il suo ultimo lungometraggio di finzione, un viaggio estremo oltre il cinema, in dimensioni della visione veramente sorprendenti”.

Che dire? Un buon concorso sulla carta, senza dubbio, che tiene conto della effettiva mancanza dei grossi nomi passati da Cannes (unico dubbio la strana assenza di Lars Von Trier) ma che risponde con intelligenza alla sfida di una annata complessa. Certo spiace un po’ questo ridimensionamento abbastanza netto verso cinematografie come quelle asiatiche (ok i due grossi calibri, ma l’Asia è una fucina immensa di giovane cinema forse un po’ troppo dimenticato ultimamente) o sudamericane (nemmeno un film in concorso e solo due nell’intera selezione ufficiale per un’area del mondo che lo stesso Barbera definisce “in crescita netta”). Fa molto piacere, poi, la presenza di due assoluti maestri del documentario come il cinese Wang Bing e l’americano Frederick Wiseman che porteranno a Venezia le loro opere fiume (quasi quattro ore) nel Fuori Concorso documentari; poi in Fuori Concorso Kim Ki Duk (l’ultimo vincitore del Leone d’Oro) con il chiacchieratissimo Moebius e il vecchio leone Paul Schrader con il film tratto da Ellis The Canyons. Manca qualcosa, forse, a questo fuori concorso rispetto alle attese (Greegrass, Jonze, Howard, Scott), ma è comunque una selezione capace di incuriosire e creare attesa.

La sezione che all’apparenza sembra invece più soffrire del netto ridimensionamento quantitativo rispetto all’era Muller è sicuramente Orizzonti, che per anni ha proposto un vero fiume incontenibile di sguardi dal mondo e che oggi (sempre sulla carta) appare un po’ frenata rispetto al suo potenziale: il vero punto interrogativo di questa selezione, che speriamo comunque si risolva in piacevoli sorprese. È giusto, insomma, sospendere ogni tipo di giudizio a dopo il Festival, specialmente scorrendo e scoprendo una selezione che appare più rischiosa (e questo è di per sé un bene) ed enigmatica rispetto allo scorso anno. Appuntamento, quindi, al 27 agosto.

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    8 commenti

    • Von Trier si sapeva da mesi che non ci sarebbe stato. Il grosso buco nel programma è McQueen: incomprensibile la sua esclusione.

    • Infatti, Von Trier lo aveva detto da mesi che non avrebbe partecipato ad alcun festival. McQueen è un gran buco, non so se sia una scelta dei produttori di portarlo a Toronto invece che a Venezia, ma comunque è un'assenza che spicca. Si spera che la qualità dei film sia elevata, ma dal punto di vista mediatico – e un grande festival come Venezia gioca inevitabilmente anche sul quel terreno – è assai debole. Qui si avverte l'assenza di Muller come un macigno…

    • Muller faceva scelte più commerciali e populiste, Barbera è più rigoroso e sperimentale, quindi rischia di più (anche troppo). Ha detto comunque che l'assenza di Twelve years a slave non è dipesa da lui. Il programma sulla carta è buono, vedremo i film.

    • Muller faceva a mio avviso un grande festival generalista, dove c'era tutto, il film malese come il blockbuster hollywoodiano, il grande autore come l'esordiente, il film classico da 90 minuti come lo sperimentalismo selvaggio che debordava i confini del linguaggio cinematografico. Come dovrebbe essere un festival come Venezia, che compete con Cannes e Berlino. Su 8 edizioni trovo che sia stata debole una, ed aveva pure la pesante scusa che c'era stato lo sciopero degli sceneggiatori in Usa. Barbera se vuole fare i festival rigorosi e sperimentali può andare a Torino: a Venezia servono anche i nomi di richiamo, altrimenti poi il pubblico – quello che paga per gli abbonamenti e gli accrediti – rischia di non venire. E se non sai attrarli o fai scelte diverse secondo me è un problema per una mostra come Venezia. Poi spero anche io che la qualità sia alta

    • l'edizione dell'anno scorso di Barbera era abbastanza inferiore alle ultime tre di Muller… speriamo quest'anno si riscatti

    • Dire che il pubblico pagante si interessa al festival solo se ci sono film americani con attori famosi mi pare riduttivo, anzi ridicolo. Ragionano così i quotidiani gossippari di casa nostra (tutti infatti illeggibili durante la Mostra) ma il pubblico che frequenta il Lido non è quello dei multiplex la domenica pomeriggio. Il lavoro di Barbera non deve essere quello di portare i divi sul red carpet ma di proporre film validi. Chi vuole i divi americani si dimentica che praticamente in contemporanea con Venezia c'è Toronto. Gli americani anche per ragioni economiche preferiscono andare lì. Comunque mancano ancora uno o due film (americani) per completare il programma: forse altri sospirati divi arriveranno.

    • non è certo questione di divismo. Forse di eclettismo nelle scelte. Muller proponeva un programma più ricco e trasversale, Barbera più elitario e autoriale vecchio stile. Si può anche preferire il primo senza per forza parlar male del secondo. Tutto qua.

    • Personalmente non ne faccio una questione di divi, ma anche di autori, tanto americani quanto europei ed asiatici. Basta confrontare il programma di Cannes e quello di Venezia per rendersi conto delle differenze di scelte quest'anno. I francesi si son presi il meglio, e Toronto ha piazzato le stilettate finali. Se questo è dovuto ad incapacità attrattive della Mostra, o a precise scelte di Barbera e collaboratori, è comunque un problema a mio avviso. Anche se l'ultima parola spetta ai film (per fortuna) ogni festival ha un'identità precisa. Questo programma poteva essere eccellente per Torino, per Venezia (sulla carta) è un po' deludente. A meno che tu non mi voglia dire Che Glazer o Gordon green creino aspettative come Polanski o J. Gray, Kechiche o Farhadi. Il gossip non c'entra niente