#Venezia73 – Indivisibili, di Edoardo De Angelis
Alle Giornate degli Autori, De Angelis capovolge definitivamente il controllo sulla sua materia e si lancia con coraggio decisamente al di là della comfort zone del cinema italiano attuale
Indivisibili è il terzo film di Edoardo De Angelis, ed è quello in cui finalmente il cineasta di Perez e Mozzarella Stories è riuscito a trasporre nella forma lunga tutta l’incendiaria forza visionaria dei suoi fenomenali lavori nel campo dei cortometraggi: in questo modo, De Angelis si assetta definitivamente come il continuatore di nostra generazione della mai troppo ricordata e frequentata “scuola dei vesuviani”, quegli sguardi in grado di trasporre l’arcaismo partenopeo verso forme di immaginario fantasmagoriche che negli anni ’90 ci hanno regalato le vertigini di Corsicato, Gaudino, Capuano…
Com’è chiaro, Indivisibili non ha a che fare unicamente con la riproposizione di quegli stilemi e di quelle modalità che incrociavano l’esagitazione perenne e turbinosa della sceneggiata cantata con la solarizzazione delle strutture delle narrazioni popolari più sotterranee e sulfuree, perché il realismo magico di De Angelis è interessato soprattutto ad aggiornare da quella straordinaria stagione tutta la rabbia sottotraccia e il dolore sublimato nei confronti del corpo di una regione straziato dagli interventi dell’uomo e da un senso malato del divino.
Il processo di decostruzione dei meccanismi di sfruttamento rituale del sacro e del “miracoloso” si serve delle stesse armi dell’affabulazione istituzionale, lo stordimento sensoriale delle suggestioni spiritual(i) e un racconto scandito dalle tappe della progressione apertamente favolistica tipica delle “vite dei santi”.
Come a voler mollare sempre più il freno anche del proprio cinema, il film di De Angelis è in continua mutazione nella direzione di quella stessa libertà ricercata dalle gemelle protagoniste, e nella seconda metà dell’opera ogni sequenza sembra reinventare e modificare i propri punti cardinali più volte, aprendosi a voli repentini sulle musiche e le canzoni strepitose di Enzo Avitabile, vero coautore nascosto del mood della storia.
La prima sezione resta però quella più contratta, in cui la ricerca del tragicomico nella desolazione postapocalittica del litorale di Castel Volturno e il vuoto ripetersi delle immobili solennità della religione del contemporaneo, feste di prima comunione e servizi fotografici di prediciottesimi, porta De Angelis in una zona formale a metà strada tra Matteo Garrone e Marco Risi.
Ma da quanto Daisy e Viola intraprendono la loro fuga verso la “Los Angeles” immaginaria Indivisibili capovolge definitivamente il controllo sulla materia e si lancia con coraggio decisamente al di là della comfort zone del cinema italiano attuale, tuffandosi letteralmente in una materia sanguigna e cattiva, pulsante e inesorabile.
E’ vero, il risultato può apparire sbilanciato, come alcune delle caratterizzazioni ultracariche dei personaggi, e fin troppo pieno di “istanze” (la famiglia, il mondo dello spettacolo di provincia, l’abbandono politico delle periferie senza legge, i dubbi intrallazzi della religione…), ma il viaggio collodiano di queste creature fantastiche per riuscire a guadagnare finalmente un corpo in carne e ossa si impone innanzitutto per come fa brillare ogni riferimento per assumere una forma che sia orgogliosamente indipendente (anche dal punto di vista artistico-produttivo…).
Il mare, i freaks (la donna scimmia…), il grottesco della fede…a ben guardare l’ammiccamento dello script, ad opera del regista con Barbara Petronio e Nicola Guaglianone (autore del soggetto), per cui un personaggio porta il nome di Marco Ferreri è evidente: ecco, tra i vari esperimenti di recupero di un’attutidine all’antropologia surreale nelle meraviglie dei nostri giovani autori, Edoardo De Angelis ci sembra quello che abbia maggiormente chiaro dove guardare.