VIDEOCLIP – "Window Seat"

erykah badu - window seat
Dallas
, Elm Street, 47 anni dopo. Una giornata come tante, in Texas. Erykah Badu – 39enne cantante afroamericana appartenente all’universo neo-soul – cammina in silenzio lungo la celebre strade dell’omicidio Kennedy: la macchina da presa la segue di nascosto, lei comincia a far scivolare gli abiti uno alla volta, fino a restare completamente nuda. Improvvisamente un colpo.

 

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C’era qualcuno che urlava “Rimettiti addosso quei vestiti!”, “Vergognati!”, “Ci sono dei bambini qui fuori!”. Ero pietrificata, ma dovevo assolutamente tenere la testa alta e continuare a camminare. Subito dopo l’ultima inquadratura mi sono rialzata e sono scappata via correndo come non ho mai fatto. E’ stato un incredibile momento di vulnerabilità e liberazione.

Come provocazione ha funzionato di certo. Sono ormai settimane che in rete si parla del guerrilla-video dell’artista texana, girato furtivamente dal duo Coodie & Chike in un solo lungo take. Erykah Badu – 39enne erykah badu - window seatcantante afroamericana appartenente all’universo neo-soul – cammina in silenzio lungo la celebre strade dell’omicidio Kennedy: la macchina da presa la segue lenta, lei comincia a far scivolare gli abiti uno alla volta, fino a restare completamente nuda. Improvvisamente un colpo. Il corpo molle e svestito della Badu si accascia al suolo nel punto esatto in cui hanno sparato a JFK.

Il video è di fatto un omaggio a Lessons Learned di Matt & Kim (quella volta i due newyorkesi si erano spogliati in video nel bel mezzo di Times Square) e in fondo la natura platealmente trasgressiva dell’operazione (la donna nuda, le riprese effettuate senza alcuna autorizzazione: la stessa Badu dovrà tra l’altro affrontare la denuncia di uno dei passanti) non lasciava certo dubbi circa l’eco mediatica di un videoclip che vuole, contemporaneamente, farsi manifesto politico-civile ispirato a luminose idee di indipendenza, anticonformismo, ribellione (Il riferimento, che appare evidente negli ultimi secondi del video, è alle teorie del cosiddetto “GroupThink”: sistema di pensiero che analizza il tendenziale omologarsi dei comportamenti all’interno di un determinato gruppo sociale).

Altrettanto lampante e inevitabile è il confronto formale tra le immagini del celeberrimo video che per primo testimoniò dell’assassinio del 35° Presidente americano – girato dal sarto Abraham Zapruder con una 8 millimetri – rievocato qui con un ralenty sporco e sbiadito che crea una solennità nuova, più consapevole e quindi se possibile ancor più sofferente. L’idea in effetti sembra funzionare: trasferire lo stesso morboso voyeurismo che accompagna tutt’oggi la visione splatter del fatale percorso del 22 novembre 1963 (su YouTube è ancora fenomenale campione di visite) sul corpo esibito di un artista che ne riproduce il movimento spogliandosi in strada in nome della libertà.

A JFK, magari, sarebbe pure piaciuta.

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