SPECIALE "E venne il giorno" – La via della salvezza

E venne il giornoIn questo mondo ci si salva solo in Tre, padre, madre, figlia. I Due che si ricongiungono per ridare forma alla perfezione dell’Uno, fisso ed eterno oltre ogni contrarietà e opposizione, principio di vita e morte. Ritorniamo ad essere una cosa sola già qui, ora. Almeno per un istante. Anche se il tempo ritornerà al suo ciclo, qui, a Philadelphia, a Parigi, in ogni luogo

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E venne il giornoStringimi madre, ho molto peccato, ma la vita è un suicidio, l’amore un rogo…

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La morte corre lungo i campi. Si muove leggera e sinistra, portata dal vento, che spira dal fuoricampo per invadere l’intero quadro ed espandersi oltre, in tutti i quadri filmabili, ogni spazio pensabile. E’ parte stessa del movimento dell’Essere, che tocca ogni esistenza possibile per ricondurla all’immobilità del nulla. E’ invisibile come ogni cosa che appartenga ad un’altra dimensione. Permea di sé tutto lo spazio e congela il tempo, costretto a scorrere in un eterno ritorno, in una spirale continua di ascesa e caduta. La morte è ovunque. E’ prima di tutto dentro di noi, che l’avvertiamo con tanto terrore, da renderla una presenza quotidiana, che ci scuote. Non basta più come in The Village relegarla a un altrove invalicabile e minaccioso, fingendo che il dolore non venga mai a scovarci nei nostri nascondigli. Dov’è, allora, la salvezza? Se dovunque volgiamo lo sguardo, la minaccia della fine è reale, in quale fuoricampo “troppo lontano” potremmo aver salva la vita? Questa terra non è abbastanza grande. L’aldilà forse? Un altro mondo? No, se è vero che il nostro sguardo atterrito si volge proprio a quel fuoricampo proibito, a quello spazio dietro la macchina da presa, in cui si è definitivamente fuori dal film, dalla poiésis, dal creato. Imploriamo il regista, ma è lui quel dio che ci vuole morti, per una legge imperscrutabile e inevitabile della Storia, della sua storia. Non ci si salva neppure stando soli, fuori dal mondo e dalla vita, perché il rifiuto è già morte, la solitudine consuma dal di dentro e costringe alle cose, ai feticci e sortilegi, anch’essi soggetti alle leggi del divenire. Tanto meno ci si salva insieme agli altri, perché la fine di ognuno prefigura e accelera la nostra. L’amore, forse? Neanche l’amore ci potrà salvare, non basterà prendersi per mano o abbracciarsi. Eppure ci deve essere un modo. Occorrerebbe uscire dai limiti del visibile, per ristabilire un contatto, una linea di comunicazione con quell’Altro, quel fuoricampo/controcampo che è così uguale all’Io. Non abbiamo salvezza. Ma non importa, il cinema è già entrato nel regno dell’invisibile. La morte si vince scegliendo, accettando di morire. Affrontiamo finalmente la paura più grande, quella di “venir fuori”, di proiettarci fuori dal nostro corpo/rifugio per uscire allo scoperto. Stare dritti in piedi, contro il vento. Morire per rinascere, il viaggio di ogni eroe, di ogni signora dell’acqua che scompare negli elementi per ritornare a casa. In questo mondo ci si salva solo in Tre, padre, madre, figlia. I Due che si ricongiungono per ridare forma alla perfezione dell’Uno, fisso ed eterno oltre ogni contrarietà e opposizione, principio di vita e morte. Ritorniamo ad essere una cosa sola già qui, ora. Almeno per un istante. Anche se il tempo ritornerà al suo ciclo, qui, a Philadelphia, a Parigi, in ogni luogo.

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