VENEZIA 71 – Ghesseha (Tales), di Rakhshan Bani-Etemad (Concorso)


La celebrata Bani-Etemad torna con un film che intreccia la vita di vari personaggi in Iran: tutti, in modo diverso, si battono per rivendicare una dignità lesa da qualcun altro. L’approccio documentaristico rivela l’anima del film con gradualità, fino a un finale che proprio nel climax drammatico appiana ogni dolore.

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Ribattezzata “first lady del cinema iraniano”, la celebrata Bani-Etemad torna con un film che intreccia la vita di vari personaggi in Iran: tutti, in modo diverso, si battono per rivendicare una dignità lesa da qualcun altro. Impiegati statali si affannano per far valere i propri diritti con funzionari arroganti e menefreghisti. Una madre si chiede come ottenere i soldi per la cauzione del figlio. Degli operai s’infervorano perché il loro lavoro non viene giustamente riconosciuto. Un regista vuole denunciare, con il suo documentario “simile a mille altri”, la fatica quotidiana per lavoratori semplici di rimanere a galla in un sistema che li inghiotte con indifferenza. Un operaio ignorante s’infuria con la moglie pensando di essere stato tradito. Una donna ustionata dal marito è terrorizzata all’idea di tornare a casa.

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Seguiamo un personaggio per un breve tratto, finché quello non passa il testimone al protagonista successivo. In questa corsa frenetica verso il miraggio di una vita più dignitosa, spesso sono i mezzi di locomozione a fare da raccordo fra una storia e l’altra: taxi, autobus, i luoghi per eccellenza dove le vite s’incrociano e poi proseguono, il più delle volte immutate.

E proprio su un taxi si snoda l’ultimo dialogo: l’autista (interpretato dal talentuoso Peyman Moaadi di Una separazione) e la passeggera, una giovane e combattiva assistente sociale, discutono attraverso lo specchietto retrovisore di un argomento che inizialmente sfugge, per acquisire consistenza poco a poco sotto forma di non detto drammatico, e segnare – in una notte urbana che sembra ridimensionare ogni tristezza – il punto più lirico del film.

La naturalezza dei dialoghi e la recitazione estremamente realistica rispecchiano l’approccio documentaristico della regista, che rivela l’anima del film con gradualità, prima descrivendo, poi indugiando sulle motivazioni di ogni personaggio. E regalandoci di ognuno il momento della vita in cui si è trovato a dover combattere. A chiedere aiuto senza venire ascoltato, ma a volte ad essere aiutato senza aver chiesto niente.

 

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