IN & OUT – IN: Jersey Boys, di Clint Eastwood

Sì, è vero: è un Eastwood che ci mette in crisi quest’ultimo. Il fatto, però, è che tutto il cinema americano che abbiamo sgranocchiato da bambini insieme a chili di pop corn e pistole giocattolo cariche di sogni scorre velocissimo sotto i nostri occhi rapiti da quest’ufo filmico costruito con un ritmo e una sapienza artigianale veramente miracolosa. Can't Take My Eyes Off of You.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Jersey BoysSì, è vero: è un Eastwood che ci mette in crisi quest’ultimo. Film minore, musical mancato, sguardo un po’ stanco, insolitamente bozzettistico. Tutto vero. Scavalchiamo il campo allora: ripartiamo da quella scala che percorre lentamente il vecchio e malato J. Edgar nel finale di uno dei sommi capolavori del decennio, lasciando a noi spettatori l’onere di orientarci nell’abisso di un immaginario perturbante che lui stesso ha ostinatamente creato e infranto. E se concepissimo solo per un attimo Jersey Boys come un liminale controcampo a J. Edgar? Declinando quest’ultima bizzarra regia eastwoodiana come un inno allo Spettacolo americano popolare partito proprio dalla radicale consapevolezza che quel velo è stato lacerato per sempre? Ogni inquadratura di Jersey Boys non cerca la pur minima referenza a una storia vera già filtrata e immaginata da Broadway, intasando il nostro schermo con una miriade di déjà vu riconoscibilissimi – dagli anni ‘50 di Minnelli e Wise, alla fotografia di Sirk e Ray, sino agli sguardi in macchina dei braviragazzi di Scorsese – capaci però di sorprenderci proprio in quella consapevolissima rivendicazione di uno sguardo anacronistico e totalmente fuori dal tempo. Pochi suoi film sono stati così intrisi di un amore viscerale e manifesto per il cinema hollywoodiano classico e i suoi generi, ripercorrendo le tracce e le tappe di quell’american dream e arrivando all’esplosione del musical (quindi al trionfo dell’universo finzionale, all’immaginario più puro e ideale) solo nei titoli di coda. Trovando (in)fine le uniche coordinate che questo film ha cercato testardamente sin dalla prima inquadratura: quelle del Cinema.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Frankie Valli (voce solista e guida morale dei Four Season) è uno stakanovista del palcoscenico che non ha paura di fare figuracce o di avere giorni storti, perché su "tre canzoni ne verrà fuori una buona", in pieno stile Malpaso. La vita è su quel palco, gioie e dolori sono su quel palco, che ne sapete voi? E la stupenda e lunghissima sequenza a casa del boss del quartiere Chris Walken – piena di piccoli momenti da slapstick classica, con le rivendicazioni dei quattro ex amici schiacciati da un debito enorme con uno strozzino – schiude in pochi frame e in pochi primi piani tutti i fantasmi nascosti nell'animo umano, abissi j.edgardiani appena abbozzati e letteralmente stoppati da Valli nel classico aut aut western: mi accollo io il debito, tutto quanto, punto. E lo faccio solo per un dovere morale. Lo spettacolo, dice Clint, nasce in quella stanza, all’incrocio tra una miriade di invisibili traiettorie umane che con la musica e col musical non hanno proprio nulla a che fare.

Clint Eastwood sul set di Jersey BoysTorniamo al punto pertanto. È vero: questo film non ha la struggente complessità sentimentale de I Ponti di Madison County, non affonda la carne nel dilemma etico dei ragazzi di Mystic River, non ci immerge nell’abisso liminale musica/vita del Bebop di Bird, non ci fa sentire lo stesso dolore lancinante per la perdita di una figlia in Million Dollar Baby e non ha lontanamente la crudeltà teorica di Mezzanotte nel giardino del bene e del male. Non ha la forza di quei film, perché non vuole nemmeno per un frame essere un Capolavoro. Il fatto, però, è che tutto il cinema americano che abbiamo sgranocchiato da bambini insieme a chili di pop corn e pistole giocattolo cariche di sogni, scorre velocissimo sotto i nostri occhi rapiti da questo ufo filmico costruito con un ritmo e una sapienza artigianale veramente miracolosa. E allora la strada e i furtarelli, Frank Sinatra e il Papa, le canzoni improvvisate e l’amicizia virile, i programmi televisivi (spunta persino una puntata di Rowhide con un giovane attore che iniziava proprio lì la sua carriera…) e il grande Cinema che verrà (il ragazzo Joe Pesci vestito come il goodfellas Tommy…); e poi le mogli e le amanti, gli strozzini e le ville, le cadute e le rinascite. Proprio come il Boorman di Queen and Country lo sguardo senile di Clint fende il tempo e “riporta indietro il cinema” ai suoi innocenti amori dimostrando una straordinaria consapevolezza sull'epoca che stiamo vivendo: Jersey Boys ci inchioda alla poltrona di una sala rapiti da una fascinazione fanciulla e primigenia (solo un giovanissimo sguardo ottantenne può riuscire in quest’impresa) e ci chiede sottilmente di spegnere i nostri Smarthone, pc, tablet o iPod per far finta di credere nuovamente a un’immagine così analogicamente costruita. Con la musica in vinile, i set serigrafati e i ceroni pesanti e posticci. In fondo l’abisso di J. Edgar e Bird è proprio lì, fuori campo, tangibile e pressante, sublimato solo per pochi frame, solo il tempo di un sublime film “minore” che non sa smettere di cantare al Cinema… Can't Take My Eyes Off of You.

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array