VENEZIA 71 – Qin' ai de (Dearest), di Peter Ho-sun Chan (Fuori concorso)

Dearest, di Peter Chan
Straziante Peter Chan. Meraviglioso melodramma sulla presenza/assenza dei figli della nuova Cina, un atto  d'amore complesso e allo stesso tempo di purezza cristallina che supera i confini stessi dei sentimenti per riplasmare una materia cinematografica miracolosamente dentro e fuori la vita

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Per fortuna che nel cinema contemporaneo esistono registi del calibro di Peter Chan. Cineasti che non si vergognano di  raccontare i sentimenti prendendo di petto la  materia  che hanno tra le mani, potenziandola a dismisura potendo contare sulla qualità  di un cinema  e di un senso  dello spettacolo innato. Dearest respira cinema e vita in ogni inquadratura. Racconta una storia assurda di rapimenti, indagini e adozioni che scopriamo invece essere realmente accaduta in Cina tra il 2009 e il 2012. Come nell'ultimo Father and Son di Kore-eda parliamo di genitori e figli, del sottile confine tra il legame biologico e quello affettivo, ma a differenza del cineasta giapponese il dramma da camera trae origine dalle fondamenta iniziali di un thriller che decide scena dopo scena di immergersi nel melodramma più spinto e assoluto.

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A una coppia di genitori divorziati viene rapito il figlio. Passano anni di ricerche senza fine, durante i quali i due familiarizzano con una associazione di famiglie che hanno vissuto  la loro stessa tragedia. Poi un giorno arriva una segnalazione da una lontana provincia rurale. Il piccolo Pengpeng è cresciuto in una famiglia di contadini. Il capofamiglia rapitore è morto ed è rimasta solo la sua donna a occuparsi del  bambino e di una sorellina forse rapita anch'essa, oppure semplicemente trovata abbandonata. Qui c'è una sequenza potentissima, estenuante, violenta, dove improvvisamente  i parametri morali tra buoni e cattivi arrivano quasi a confondersi. I veri genitori di Pengpeng portano via il figlio dal villaggio, disperatamente inseguiti dalla donna e da una folla di contadini inferociti. E' forse l'intrusione in un mondo  rurale che non conosciamo,  scandito  da regole  ancestrali, morbose, antimoderne. L'impressione di una serie  di dicotomie  tra città  e campagna, lingua ufficiale  e dialetto, progresso e tradizione attorno alle quali ruota la lucidità di Dearest che, a conti fatti, racconta proprio questa ambiguità di fondo. L'incompiutezza morale e pedagogica di una società che sta cambiando.
Scena dell'inseguimento. Peter Chan compie un miracolo. Attraverso un taglio di montaggio repentino, dopo aver seguito per un'ora le drammatiche vicissitudini di una famiglia in cerca del figlio rapito sposta l'attenzione sullo  sguardo disperato  della donna contadina che in un dettaglio pazzesco  incrocia gli occhi del bambino immortalando un circuito amoroso inespirpabile su cui si concentrerà tutta la seconda parte. Una nuova odissea che avrà per protagonista la donna e il suo smisurato desiderio di essere madre.
Un film meraviglioso e impossibile. Con una minima dose di coraggio avrebbe meritato il concorso ufficiale, ma questa è un'altra storia.  

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