Cinema Komunisto, di Mila Turajlic

Il rischio maggiore è che Cinema Komunisto appaia più come un affettuoso ricordo di regime che non un film sul cinema, perché di esso, in effetti, se ne vede poco.

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Arriva in ritardo in Italia, come da prassi, Cinema Komunisto, il documentario realizzato nel 2010 dalla giovane regista serba Mila Turajlic che ha riscosso unanime successo in varie parti del mondo, dal nostrano Trieste Film Festival fino al Tribeca. Sebbene il film venga pubblicizzato pressoché ovunque come un documentario sul cinema yugoslavo, è bene precisare che la narrazione che la regista mette in atto è incentrata sull’Avala Film, studio di produzione serbo creato dallo Stato, e del suo ovvio legame con il dittatore Josip Broz Tito.

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A dirla tutta, più che il cinema, appare proprio Tito il protagonista assoluto del film, principale argomento di discussione delle interviste raccolte – registi, tecnici e attori della scuderia Avala, per l’appunto – e nodo tematico che concentra su di sé l’incerto andamento del film. Quanto importa che la regista abbia compiuto un annoso lavoro di ricerca negli archivi, riesumando e digitalizzando quasi ottanta film se poi essi vengono inseriti in maniera casuale all’interno del documentario, senza nessun riferimento esplicito o commento, a semplice accompagnamento delle interviste? E no, non basta l’elencone finale nei titoli di coda. Come non basta certo una citazione di Ranciére in apertura – per giunta accompagnata dal folkish insapore delle CocoRosie in sottofondo – per dare la parvenza di una seria riflessione sui legami tra Storia, cinema e regime. Soprattutto se la confezione è ammorbata da una patina nostalgica inspiegabile, dove si decanta una presunta età d’oro della Yugoslavia e del suo cinema, senza però uno sforzo d’analisi e di spiegazione. Così, per cento minuti, assistiamo principalmente ad uno snocciolamento di aneddoti più o meno

Cinema Komunisto, di Mila Turajlicinteressanti, ma che non escono dalla loro dimensione triviale. Leka Konstatinovic, proiezionista personale di Tito, ci tiene a sottolineare – insieme a tutti gli altri intervistati – quanto il suo presidente amasse il cinema e quanto egli abbia contribuito alla produzione nazionale, elargendo generosi capitali e non esitando a impiegare l’esercito come comparsa nei film di guerra, o a far saltare in aria un vero ponte per le riprese del costosissimo La battaglia della Neretva, che coinvolse nel cast star internazionali, da Yul Brynner a Franco Nero passando per Orson Welles. Ne esce un ritratto quasi mecenatesco, che vede Tito come il grande padre permissivo pronto a realizzare i sogni di ogni regista, non importa a quale prezzo. Peccato che il film non accenni neanche per un momento all’esistenza della Black Wave yugoslava, ovvero l’insieme di film anarchici e controcorrente, violentemente critici verso la realtà dell’epoca, realizzati da registi come Aleksandar Petrović, Želimir Žilnik, Dušan Makavejev e Živojin Pavlović, che per anni hanno combattuto contro la censura di regime e, in alcuni casi, sono stati costretti all’esilio. Nel nascondersi dietro una presunta astensione di giudizio, spesso la verità risiede nel non detto. Le immagini dei film scorrono sullo schermo, ma su di essi non si sprecano che poche parole, ma bastano alcuni secondi di guerriglia imbellettata per capire che la valenza artistica è soffocata dalla propaganda. La narrazione termina con la morte di Tito nel 1980, e la regista si dimentica degli ultimi dieci anni di vita della Yugoslavia, tradendo di nuovo una lettura del materiale trattato non così acritica come la maggior parte della critica afferma. Bastano le riprese di Konstatinovic – il cui cieco amore per il dittatore rasenta lo stereotipo – che con gli occhi gonfi di tristezza guarda le macerie del palazzo presidenziale, accompagnato da musica struggente e intervallate da filmati d’epoca che mostrano lo splendore perduto, a fugare ogni dubbio.

Il rischio maggiore è che Cinema Komunisto appaia più come un affettuoso ricordo di regime che non un film sul cinema, perché di esso, in effetti, se ne vede poco. Ciò che preoccupa è che questa virata nostalgica venga da una giovanissima regista che quegli anni neanche li ha vissuti. Davvero è semplice sospensione di giudizio il riuscire a dire soltanto che Tito era un cinefilo? Non lo era anche Kim Jong-il, dopotutto?

Titolo Originale: id.
Regia: Mila Turajlic
Origine: Serbia, 2010
Distribuzione: Cineclub Internazionale Distribuzione
Durata: 101’

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