Batman v Superman – Dawn of Justice, di Zack Snyder

Purtroppo Snyder è troppo attento a dover portare a casa il suo compito di gettare le fondamenta dell’Universo DC al cinema, per poter raggiungere le vertigini avanguardiste de L’uomo d’acciaio

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Nella sua bulimia narrativa squarciata da quelli che oggi ci appaiono come rarissimi e benedetti filamenti mélo, Il cavaliere oscuro – Il ritorno si prendeva il bel coraggio di immettere la sua lotta tra supereroi e supercattivi in una spessissima coltre di presente sociopolitico, tale da averlo fatto diventare all’epoca una sorta di proclama per le masse degli intenti di Occupy Wall Street.
Se è vero che la narrazione delle origini di Batman che Zack Snyder pone in apertura di questo suo nuovo film ci riporta da subito ad atmosfere burtoniane, l’idea di fare delle storie raccontate in questi fumetti un racconto d’America in diretta lo aggancia davvero ad alcune intuizioni – quelle buone… – nolaniane (come pure una certa tendenza al tranello dinamitardo da secchione in cui Goyer e Terrio cadono un paio di volte).

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Ma Snyder è pur sempre il grandissimo cineasta di Watchmen, quindi seppure il tono cupo sia quello dell’iperrealismo metropolitano, il suo Batman non è semplicemente lo SWAT corazzato della versione-Bale ma si appropria con prepotenza di tutte le iperboli dell’Uomo Pipistrello, armamentario coatto e cambio di costume adatto per tutte le situazioni: nelle sequenze oniriche, ambientate in un universo di pura astrazione, Snyder è totalmente libero di imbastire quegli esplosivi frammenti di narrazione visionaria fuoriusciti da Sucker Punch che continuano a farne uno degli sguardi centrali della contemporaneità. Ma sono solo un paio di parentesi potentissime.
Peccato infatti che invece il film perda poi del tutto qualunque vertigine avanguardista che possa ricordare l’assalto sensoriale senza tregua de L’uomo d’acciaio, sia nell’ottica di quella messinscena purovisibile non più in grado di fare il tracking sul punto di luce di Superman che sfreccia nei cieli, che in quella dell’intimità pulviscolare e dolente che quel film era capace di sprigionare.

Stavolta Snyder è troppo attento a dover portare a casa il prodotto che non può fallire nel suo compito di gettare le fondamenta dell’Universo DC al cinema, per poter andare così meravigliosamente alla deriva: rimane, per l’appunto, un’attenzione ad innervare le immagini di riferimenti sanguigni al nostro immaginario recente e recentissimo, kamikaze esaltati e gruppi di ribelli nel deserto, che la concorrenza Marvel non è stata mai in grado neppure di accennare.
Da questo punto di vista l’inedita prospettiva ad altezza uomo comune, dal basso verso l’alto, con cui il film racconta il suo incipit di attacchi aerei ai grattacieli di Metropolis, con nuvoloni di polvere e pedoni che si aggirano in trance tra la distruzione, è una delle vette assolute della produzione snyderiana, un rimando fortissimo e di petto alle immagini che tutti associamo all’11 settembre, parallelo proprio a quelle istantanee iconiche della memoria USA rivisitate appunto da Watchmen (la scritta False God a deturpare il monumento di Superman, i magnifici pannelli neoclassici di racconto del vangelo divino dell’eroe di Metropolis nel mondo…).

Non è un caso se tutti i colpi a segno di quest’opera discontinua appartengano alla sezione, concettualmente quasi slasher, dedicata al serial-vigilante di Gotham: Ben Affleck è innanzitutto un Bruce Wayne straordinario, dietro ogni sua spacconata da guascone puoi sempre percepire l’abisso della solitudine e del rancore irrisolto. Affleck si porta letteralmente tutta l’opera sulle spalle, e la lotta a distanza tra due miliardari megalomani come Wayne e il nevrotico Lex Luthor di Jesse Eisenberg, combattuta tra cocktail party e cerimonie di inaugurazione in abito da sera, è probabilmente molto più avvincente di quella muscolare portata avanti contro Superman.

A faticare davvero per far fluire un briciolo di passione in tutta la traiettoria del kryptoniano rifiutato dagli uomini è in realtà la Lois Lane di Amy Adams. Vero motore sentimentale malauguratamente a sprazzi di tutto l’impianto, è la figurina con più anima dentro un album che non può più permettersi di non essere caoticamente affollato, con dentro mille supereroi “metaumani” e mostri (che hanno, azzardiamo, più d’un debito col Thor branaghiano) che poi Synder non sembra mai realmente interessato a far deflagrare, complice probabilmente la gabbia imperialista del cinecomic, chiudendo il suo kolossal più impersonale con la battaglia finale forse meno impressionante della sua filmografia.

 

Titolo originale: id.

Regia: Zack Snyder

Interpreti: Henry Cavill, Ben Affleck, Gal Gadot, Jason Momoa, Diane Lane, Laurence Fishburne, Jeremy Irons, Amy Adams, Holly Hunter, Jesse Eisenberg, Ezra Miller, Michael Shannon

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Durata: 151′

Origine: Usa 2016

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