Black Tide, di Erick Zonca

Costruire la vita come se fosse un romanzo o rendere la finzione una realtà? La proposta noir del regista si muove in cerca di un corpo scomparso, mentre i suoi personaggi si perdono nel tentativo

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Costruire la vita come se fosse un romanzo. Oppure, far della finzione una sorta di realtà. Quando si tratta di Cinema, c’è una differenza? Black Tide, terzo lungometraggio del regista francese Erick Zonca tratto dal libro The Missing file di Dror Mishani, segue il sentiero che aveva iniziato con Julia (ispirato al Gloria di Cassavetes), un racconto frenetico e volutamente finto, un bosco che diventa posto di rivelazione, la disperazione di un’anima persa, le tracce scure e nascoste di un rapporto madre e figlio. Poi, prende anche l’impulso dal suo La vita sognata degli angeli (Palma d’Argento a Cannes 1998), portando avanti un’altra sorta di favola nera, dove i corpi cinematografici nascondono la loro vera natura dietro un sorriso, una finestra, un archetipo, una storia immaginaria.

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Muovendosi tra il desiderio di realtà e la volontà di sottolineare il fatto di essere davanti a una finzione, Black tide segue il flusso di una marea che arriva lento, appena percettibile, ma come la nebbia copre tutto quello che incontra. Gira intorno al detective Francois Visconti (Vincent Cassel), una specie di cattivo tenente, un uomo stanco del mondo e le sue dinamiche, che gira in macchina seguendo le luci lampeggianti e fugaci come Travis Bickle, in cerca del suo figlio di 16 anni, apparentemente coinvolto nel traffico di droga. Forse cercando anche di fondersi con le luci della strada indifferente, fino a dissolversi pure lui. Allo stesso tempo, indaga sul caso dell’adolescente scomparso Dany Arnault, mentre stabilisce rapporti distorti con i personaggi che trova nel percorso: Solange (Sandrine Kiberlain), la madre di Dany, la cui sofferenza e devozione per il figlio sparito e la figlia disabile, sembra placare il suo proprio vuoto e dolore; il signor Bellaile (Romain Duris), vicino di casa e tutor di francese di Dany, che quando viene a conoscenza della scomparsa del suo allievo si fa coinvolgere nel caso di modo inquietante e ossessivo.

Proprio come fare una passeggiata nel bosco, dove ci muoviamo sotto un’illusione di calma

ma sempre con la minaccia di qualcosa di nascosto, della comparsa di ciò che è occulto dietro gli alberi, Erik Zonca propone di attraversare un sentiero fatto di silenzi, segreti, sofferenze trattenute e intenzioni velate. Coinvolti ma guardando da lontano, costruendo una storia a pezzi come se fosse un frame di La finestra sul cortile, dove il fulcro del racconto è nel distruggerlo per poi ricomporlo, muovere i frammenti, stravolgere le fondamenta di una storia per farla diventare un’altra, senza mai trovare la versione definitiva. Come un modo di sfuggire alla mediocrità della vita, creando una dimensione dove forse c’è più sofferenza ma che allo stesso tempo porta un nuovo senso di vitalità.

C’è una diffidenza intrinseca nel film di Zonca. Anche se vediamo a colori, sembra come girato in bianco e nero. Come se la sua condizione policromatica cominciasse a perdere intensità mentre il buio si appropria degli spazi. Forse questa è ancora una volta l’essenza del Film noir, oppure è soltanto l’evoluzione naturale di una storia nata per perdersi in un bosco, dal quale non c’è una via di uscita. Questo senso di solitudine fa sminuire le possibilità di empatia e vicinanza, ma allo stesso tempo fa crescere la curiosità, quindi una sorta di coinvolgimento lontano. Forse la distanza giusta per avvicinarsi a un film. L’unica cosa che alla fine sembra familiare sono i codici del genere, il fedele e canonico ritratto del poliziotto ubriaco, deluso, profondamente stanco, l’eroe noir che si perde e si ritrova di fronte al male, trovando in questo rapporto pendolare l’unico modo di sopravvivere. Il fatto che alla fine il corpo scomparso, il pezzo mancante, il puzzle incompiuto, non è quello che non si vede, che si trova fuori campo, ma l’anima erratica e maledetta di quelli che stanno cercandolo. 

Titolo originale: Fleuve noir
Regia: Erick Zonca
Interpreti: Vincent Cassel, Romain Duris, Sandrine Kiberlain, Élodie Bouchez, Charles Berling, Christophe Tek
Distribuzione: Sun Film Group Spa
Durata: 112′
Origine: Francia, Belgio, 2018

 

 

 

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