La Fuga, di Stefano Calvagna

Stefano Calvagna torna al cinema con La Fuga, un “finto” poliziottesco in cui il nascondiglio del fuggitivo Saverio funge da portante della parabola romantic drama, la più onesta e riuscita

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Ormai sarebbe inaudito togliere a Mamma Roma il primato di caput belli da grande schermo. Se altre regioni, metropoli sono sì state investite dal fenomeno – la Puglia, oppure l’exploit assordante di Gomorra che poco lascia ad altre parabole creative, almeno per ora- la sala, e naturalmente, la pretesa produttiva, punta alla narrativa complessa. Ma il risultato è un prodotto Big Mac, ossia doppio gusto, esattamente identico, e maschera da piatto ricco, variegato, versatile. Roma lascia campo libero alla segmentazione malavitosa, ma al tempo stesso, nel tentativo di riunire quell’intrigo sotto un’unica corona, si autoconfina a innocue sparatorie a salve, proprio come il Saverio de La Fuga.

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Occorre dispiegare l’antifona, altrimenti si rischia di analizzare un risultato spingendo al margine una poetica che, a prescindere da giudizi personali, raccoglie tematiche e incombenze di messa in scena. Saverio è un ex pugile. Dopo la morte della madre, decide di rapinare una banca e al termine di una corsa a perdifiato, si rifugia nell’appartamento di una prostituta. Poliziotti alla calcagna, tra cui un amico d’infanzia, e una reclusione forzata giustificano la conoscenza approfondita con l’escort Micol e le digressioni esistenziali che lo hanno sospinto al crimine. Calvagna è stato punto dallo stesso insetto di Sir Alfred Hitchcock. Se per quest’ultimo la notte giovanile in prigione e un padre più vicino alla figura di despota avevano inoculato il siero della lotta all’ingiustizia, la salvezza di un’innocenza  perduta, per il primo l’esperienza è stata, anzitutto più adulta, e decisamente più turbolenta. Senza riproporre la cronaca, potremmo

gif critica 2 dire che se Calvagna viaggiasse su un imbarcazione, non si spingerebbe mai né a poppa né a prua, neanche per rimirare un ipotetico panorama. Il suo Saverio è colpevole, però è innocente perché vittima del mitico Sistema, sono colpevoli i poliziotti, però uno più di altri… Baricentro basso e scii in pugno, si schiva qualsiasi fosso, qualsiasi sana e coraggiosa invettiva e, ben più importante, qualunque domanda sul reticolato di conoscenze e corruzioni della capitale.

C’è una chiara ossessione per il genere, per lo sfiancante establishing shot, torna Hitch, e per un accompagnamento, musicale, dialogico e di concatenazione, malato di zelo ed enfasi esplicativa. Eppure proprio il maestro d’orchestra, il poliziottesco, soccombe davanti al tracciato da romantic drama, senza dubbio la linea più onesta e riuscita del film. Altra fisima è la quadratura del cerchio, che richiama lo smistamento delle forze di polizia fuori lo stabile della escort. Ogni atto deve confrontarsi con l’imponenza olimpica della dietrologia, non a caso lo stesso Saverio elogia Micol per i suoi servizi, ben più utili della psicanalisi. Eppure, quel dileggio (?) non trova corrispondenza nella stesura di personaggi, talmente caratterizzati da sembrare pentadimensionali. E la frana di parole e condivisioni incrina lo scambio empatico con lo spettatore, che preferisce il racconto dilazionato, quindi seriale, quando c’è in ballo non solo l’abbondanza introspettiva ma anche numerica (i giocatori in campo risultano troppi per un prodotto di 70 m ca.).


Regia: Stefano Calvagna

Interpreti: Claudio Vanni, Lucia Batassa, Stefano Ambrogi, Daniela Miglietta “Mietta”, Daniele Trombetti, Stefano Calvagna, Sveva Cardinale, Niccolò Calvagna, Massimo Bonetti
Origine: Italia, 2016
Distribuzione: Poker Entertainment
Durata: 73′

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