#Venezia74 – Les Garçon Sauvages, di Bertrand Mandico

A lacerare il tessuto del film è il richiamo dell’impulso sessuale riprodotto senza sfumatura simbolica, fuori di metafora nella sua irrefrenabile tentazione tra piacere e dolore. Alla SiC

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Presentato nella sezione Settimana della Critica, The Wild Boys adopera la magia per esorcizzare delle paure che nel rituale, nelle maschere sacrificali trovano la proiezione all’esterno di un disagio che divora.

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L’isola delle sottane è quella dove uno strano sortilegio trasforma gli uomini in donne, come capita ai ragazzacci di Bertrand Mandico, che perdono appunto i propri attributi maschili per sviluppare quelli femminili. Senza peraltro particolari controindicazioni, tralasciando un accenno di piagnisteo, subito compensato da una rapida consapevolezza dell’acquisizione di nuovi straordinari poteri a cui attingere. Un passaggio graduale, quasi un affievolirsi dell’uno a favore dell’altro, con il quale lo scambio resta costante ed immutato.

Un lunghissimo preambolo, partito da una voce narrante a tracciare le tappe della storia, fa finire cinque ragazzi su un’isola, che per ammissione dello stesso regista richiama quella della maga Circe raccontata nell’Odissea dove il prigioniero inconsapevole si chiama Ulisse, piena di insidie malcelate di piacere.

Nel film sono cinque ragazzi a finire su un’isola misteriosa colonizzata da una vegetazione particolare, dopo essere stati forzatamente imbarcati come ciurma agli ordini di un capitano che li tratta come un negriero. L’abbandonarsi all’ozio ed alla lussuria raccogliendo le generose offerte della natura nella visione dell’autore coincide con la perdita della virilità, quasi una perdita dell’innocenza ed il vizio innescato di un processo di trasformazione verso una maggiore consapevolezza.

32siclesgarconssauvages03Oltre alla colonna sonora, decisiva per un autentico processo d’immersione, con la voce del mare che avvolge senza tregua le immagini, l’autore ricorre ad un bianco e nero rotto dal colore soltanto per sottolineare i momenti topici del film, girando inoltre in pellicola per ottenere con sovraesposizioni e sottoesposizioni delle immagini con sfumature molto originali. Ed infine per catturare ancora meglio l’attenzione dello spettatore ha consentito in più di un’occasione alle sue attrici, rese per buona parte del film dei luridi maschiacci, di guardare dritto nella macchina da presa e disseminato di citazioni l’arco temporale di svolgimento, con un riferimento evidente in alcune inquadrature all’Atalante di Jean Vigo.

Mischiando più generi Mandico confeziona un prodotto ad alto impatto visuale ed emotivo giocato ricorrendo a concetti mitologici, pittorici e psicologici. Se il tema della virilità, la sua volatilità e la successiva scomparsa chiude il cerchio, a lacerare il tessuto del film è il richiamo dell’impulso sessuale riprodotto senza sfumatura simbolica, fuori di metafora nella sua irrefrenabile tentazione di lancinante bramosia ma privo di fascino anzi volutamente sgradevole, sempre oscillante sul confine che dal piacere tracima nel dolore.

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