34º Bergamo Film Meeting. Sesto giorno e settimo giorno – Il cinema e l’assenza

Tante le proiezioni degli ultimi due giorni al Bergamo Film Meeting, tra lungometraggi, corti di animazione, retrospettive e presentazioni.

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Tanti i film e gli incontri che si sono susseguiti nelle giornate di ieri e l’altro ieri al Bergamo Film Meeting, tra le retrospettive dedicate ad Anna Karina e Miklos Jancsò, le opere in concorso, le monografie dei registi di Europe, Now! e le proiezioni dei corti di animazione del lirico e visionario artista lettone Vladimir Leschiov.

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Nei due film in concorso, The Wall del polacco Dariusz Glazer e Home Care del ceco Slávek Horák, vediamo due figure materne antitetiche, contraddistinte la prima da una mancanza, un silenzio rabbioso che utilizza come arma verso il figlio, la seconda da un eccesso: eccesso di amore e di attenzioni che si prodiga a dare nei confronti dei membri della sua famiglia oltre che verso i suoi pazienti, lavorando come infermiera a domicilio. In entrambi i film i registi si pongono e ci pongono di fronte all’inquietudine dell’assenza, dall’assenza di comunicazione di The Wall, dove al fluire degli affetti familiari si contrappone un muro, e l’assenza con la quale è costretta a fare i conti la protagonista di Home Care, ossia la propria. Cosa succederà alle persone delle quali si prende cura, dopo la sua morte? Come fare per iniziare a chiedere attenzioni per la prima volta nella propria vita, solo di fronte alla fine imminente? Tra il dare e l’avere, le impossibilità e le mancanze, The Wall e Home Care raccontano dei drammi privati ed universali, utilizzando il primo un linguaggio drammatico, l’altro un altalenare tra ironia e dramma, alla ricerca di una formula sincera per aprire alle problematiche sempre in itinere dei rapporti umani e del confronto con gli aspetti incontrollabili della vita. 

Con For Those Who Can Tell No Tales la regista bosniaca Jasmila Žbanić torna a fare i conti con il passato recente del suo paese, aiutata dall’artista australiana Kym Vercoe, protagonista del film, con la quale firma anche la sceneggiatura. E dopo Il Segreto di Esma il ricordo indicibile stavolta riguarda le stragi avvenute nella cittadina di Visengrad, dove nei primi mesi della guerra serbo – bosniaca furono uccise circa duemila persone. La Vercoe e la Žbanić ci mostrano i luoghi dell’orrore: dall’hotel dove avvenivano stupri di massa al ponte dove fu massacrata la popolazione musulmana della cittadina, e lo fanno nel 2013, dopo che i colpevoli, una volta scontata la pena, sono stati accolti dalla comunità di Visengrad come degli eroi ed hanno ripreso le loro funzioni di ufficiali della polizia o politici locali. A metà strada tra la fiction e il documentario, con For Those Who Can Tell No Tales le due donne cercano di recuperare le rarissime tracce di una memoria negata, o meglio infangata dai silenzi e le finte verità dei carnefici. E lo fanno tramite un film basato sul rispetto assoluto nei confronti delle vittime, rifiutandosi di nutrire di immagini il bisogno famelico e morboso degli spettatori. Ciò che la  regista cerca è un atto di cordoglio, la restituzione di una voce a coloro “che non possono raccontare”, mentre il silenzio delle vittime è riverberato dalla spettrale bellezza del ponte di Visengrad di notte o coperto di neve, altro muto testimone degli eventi. Se il sangue è stato ripulito dai luoghi e i testimoni si rifiutano di parlare, le tracce residuali rimangono negli incubi. Di fronte alla coscienza sporca e ripulita della collettività, la Vercoe e la Žbanić rispondono con l’unica cosa che possono fare, il gesto tanto effimero quanto imprescindibile di un intimo rituale di addio alle vittime senza voce e senza nome.

 

 

 

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