7O IFFMH – I vincitori e To kill the beast

Il film usa il pretesto di una persona scomparsa e una presenza diabolica, per raccontare uno smarrimento intimo e collettivo. Presentato al Festival di Mannheim Heidelberg 2021 vinto da Frammartino

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Il vincitore dell’International Newcomer Award del festival di Mannheim-Heidelberg è Il Buco di Michelangelo Frammartino. Premi anche per The Sleeping Negro di Skinner Myers e Ma Nuit di Antoinette Boulat.

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In programma alla settantesima edizione del festival tedesco c’era anche Matar a la bestia di Agustina San Martín, ambientato nel non luogo di confine tra Argentina e Brasile. Invaso dalla vegetazione della giungla, il film ansima nella nebbia del fiume e muove il corpo su una linea di divisione soltanto simbolica. Lì si è perso Mateo, e lì si reca sua sorella Emilia per ritrovarlo, accolta da una zia scorbutica e invisa a buona parte del villaggio. C’è subbuglio, tra gli alberi e le piante si aggira il diavolo, secondo il parere degli abitanti, ed il bosco di notte è molto pericoloso, perché nel buio si muovono gli emissari di Satana, assumendo forma di animale. Quello di Agustina San Martín è un film di donne, gli uomini finiscono spesso fuori campo, persi tra i vuoti di un abisso mentale o schiavi di una divisa, come il prete che vuole scacciare il male agitando il suo aspersorio e viene preso a fucilate. La protagonista Emilia ha diciassette anni, e mentre cerca qualcosa nel passato tra le ombre della famiglia, e dà la caccia ad un fantasma. Sente sé stessa crescere e vibrare, stupita dal desiderio. La labile struttura narrativa viene contenuta nelle atmosfere rese fiacche dal caldo, ma le immagini danno forma visiva a qualcosa di nascosto, un impulso, uno sguardo, qualcosa di inafferrabile, cui basta accostarsi per avere un fremito. Difficile attribuire un genere definito, è tutto un lavoro in propensione, che mescola tracce horror a momenti di spontaneo erotismo. Lascia sospesi i gemiti di un amplesso, così come si perde nel buio sulle orme della bestia demoniaca da ammazzare, ed il tono evocativo è il modo per affrontare evidentemente un discorso di genere. Anche questo sempre di rimbalzo, con una casualità scelta apposta.

Il discorso sulla sessualità si impone sullo schermo catturando la linea di osservazione, si libera durante un ballo, una risata sfrenata o in una notte torrida, suadente, vogliosa di piacere. Nulla è esibito in maniera esplicita, è tutto un gioco di rimandi, di ammiccamenti, di occhiate furtive o dirette, tradite da uno sguardo nell’uso reiterato del primo piano. Anche la sincera preoccupazione per il fratello scomparso altro non sembra che una metafora di mondi, il maschile ed il femminile, che continuano a cercarsi, ma faticano sempre di più a trovarsi, anzi perlopiù non ci riescono proprio. Sono comunità isolate, distinte l’una dall’altra. Il film ragiona in maniera allusiva sul ruolo della donna, sulla sua indipendenza, sulla sua libertà, forse si potrebbe anche dire del suo potere di decidere, sfidando le menti bigotte. La presa di coscienza di un cambiamento avvenuto nella società, che un gruppo di uomini, armati di spade e forconi, non riesce ad accettare. Ma ormai è ridotto a brancolare attorno ad un bersaglio scomparso, e l’attributo del male diabolico suona di retaggio medievale. Il paesaggio lussureggiante è di grande aiuto scenografico, le inquadrature del paese in campo lungo e le riprese notturne durante la caccia catturano idee di soprannaturale dentro un silenzio mistico, avvolte da una realtà circondata da un sogno. Un’opera prima sicuramente imperfetta ma non certo timida, dopo il cortometraggio Monster God, premiato a Cannes con la menzione speciale della giuria. Quasi un teaser di questo lungometraggio per il medesimo approccio spirituale, la magia dei luoghi e delle persone ed il costante ricorso al divino.

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