Another End, di Piero Messina

Un fantasy dal respiro internazionale con cui il cinema del regista cerca il grande salto ma invece resta schiacciato da un peso teorico/filosofico che non riesce a sostenere. BERLINALE74. Concorso.

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Frammenti di un ricordo. Un walkman, una musicassetta. Un oggetto ricorrente che ritorna come segno della memoria nella frequente scissione tra corpo e identità. Another End, secondo lungometraggio di Piero Messina realizzato a nove anni di distanza da L’attesa (in mezzo ci sono stati, tra gli altri, gli episodi girati per Suburra e L’Ora. Inchiostro contro piombo) è un fantasy dal respiro internazionale parlato soprattutto in inglese e in parte in spagnolo con un cast internazionale che vede come protagonisti Gael García Bernal, Renate Reinsve, Bérénice Bejo e Olivia Williams.

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Sal non si è ancora ripreso da quando ha perso Zoe, la donna che amava. La sorella Ebe, preoccupata per lui, cerca di aiutarlo consigliandogli di provare “Another End”, una tecnologia che permette di alleviare il dolore riportando provvisoriamente in vita la coscienza di una persona morta. Così Sal ritrova Zoe, ma nel corpo di un’altra donna nel quale gradualmente riesce a riconoscere la moglie. Ma il programma gli permette di vivere con lei solo un tempo limitato e quando questo sta per terminare, lui non lo vuole accettare.

Con Another End il cinema di Messina pensa in grande e cerca il grande salto. Come nel precedente L’attesa, è ancora pieno di suggestioni cinefile. Qui si rintraccia Gondry di Se mi lasci, ti cancello e soprattutto Atom Egoyan nel modo in cui la tecnologia può essere responsabile di un’aridità sentimentale nella società moderna. Il grigio ricorrente della fotografia di Fabrizio La Palombara contribuisce a creare un ambiente asettico, segnato da enormi spazi vuoti (proprio come la villa siciliana di L’attesa), dove la specie umana potrebbe essere prossima ad essere estinta. Lo stesso spazio però diventa anche soffocante, chiuso dai grattacieli, dalle porte (come quella all’inizio del film), dalla percezione dei ricordi. In qualche modo il cinema del regista fa i conti con il cinema come prolungamento di un’illusione. Another End è la ricerca di un altro finale nella vita. Oppure un finale prolungato di un’esistenza più lunga. Il problema del film di Messina è che di finali sembra averne troppi, conseguenza di una sceneggiatura che mette dentro anche tanti percorsi narrativi che però non sono quasi mai in equilibrio e finiscono per scontrarsi tra loro. Se Renate Reinsve è la possibile reincarnazione di Kate Winslet nel film di Gondry, Gael García Bernal e Bérénice Bejo restano sottotono, quasi spenti. È la conseguenza di dialoghi che vogliono essere anche massime filosofiche e che non permettono ai personaggi di uscire dalla loro caratterizzazione. Non sono mai di carne, non restano sogni, neanche come possibile incrocio virtuale/reale. Probabilmente il cinema di Messina non sostiene ancora l’ampiezza progettuale di un film come Another End. In più ci sono stacchi di montaggio proprio nelle scene in cui il film potrebbe finalmente cambiare marcia, nel modo in cui spezza i momenti di complicità tra Sal e Zoe compreso quello dello schermo cinematografico. Certo, questo è ancora un segno che Another End potrebbe essere un film sull’immortalità del cinema, come negli occhi non vedenti ma sempre aperti, come nello sguardo di Bernal con cui non si riesce però a empatizzare e ad associarsi alla sua ricerca dell’amore perduto. La scena dell’incidente e il ralenti della chiave, in più, resta un eccesso di stile gratuito di cui non c’era nessun bisogno ed è l’esempio di come il cineasta sia così innamorato del suo film che non è riuscito a tagliare dove poteva e doveva. Rispetto a L’attesa, Another End è un deciso passo indietro.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
2.43 (7 voti)

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