BFM42 – Visibile e invisibile in “Visti da Vicino”

All’interno della sezione dedicata ai documentari il Bergamo Film Meeting ha indagato anche quest’anno il confine tra sguardo e sua assenza

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Torna anche quest’anno la sezione “Visti da Vicino” del Bergamo Film Meeting e, dopo aver viaggiato sulla sottile linea che separa memoria e oblio nel corso della passata edizione, marchia a fuoco il 42esimo BFM spostando l’attenzione sul confine tra visibile e invisibile. Evidenziando cioè, attraverso la consueta rassegna, storie di vita che – oggi più che mai – necessitano di sguardi che possano catturarne essenza ed esistenza.

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È il caso di Acque torbide (Når Vandene Deles), film del cineasta danese Martin B. Gulnov – qui regista, direttore della fotografia e insieme montatore; racconto della vicenda che ha recentemente coinvolto Mo Abassi, arrestato con l’accusa di traffico di esseri umani dopo aver prestato soccorso ai rifugiati giunti presso l’isola di Lesbo nel 2015 – gli invisibili per eccellenza. Un lungometraggio che sfrutta la semplicità del montaggio parallelo per provare a rendere conto di una storia in bilico tra umanità e sgretolamento della stessa, che oppone l’istinto alla burocrazia e che tanto lavora sui primi piani dei principali protagonisti di quei frangenti; persone che hanno assaporato il terrore di una terribile ingiustizia per trionfare, infine, con la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.

Così come di invisibilità parla anche Il cimitero della pellicola (Au cimetière de la pellicule), con il quale il regista Thierno Souleymane Diallo costruisce la ricerca di Mouramani, il film del 1953 diretto da Mamadou Touré e ritenuto il primo film di un cineasta nero francofono. Diallo realizza dunque un’indagine per immagini su di un’immagine scomparsa. Una sorta di sguardo al quadrato spinto oltre le sue possibilità, in direzione della sua stessa negazione. Un film che è sì una lettera d’amore nei confronti della settima arte, ma anche un’opera delicata, su strada. Il cinema che riscopre il cinema, o almeno tenta di farlo.

Differente la strada scelta invece da Felix Maria Bühler con Restiamo uniti (Bis hierhin und wie weiter?). Un film in effetti più affine al Murky Waters di Martin B. Gulnov, all’interno del quale la regista tedesca torna a focalizzarsi sulla comunità di intenti che può arrivare a unire sconosciuti. È il caso dei cinque attivisti protagonisti del lungometraggio, uniti dal desiderio di disobbedienza e impegnati nella difesa di Lützerath (villaggio minacciato dai progetti di ampliamento di una miniera). La regista stessa è, in questi termini, la principale esponente di un attivismo che passa attraverso l’immagine; immagine con cui Bühler prova a restituire dignità a quelle lotte (di nuovo) invisibili perché volutamente oscurate da interessi di natura profondamente diversa.

Ma cosa accade quando ciò che non è visibile è un male interiore, che difficilmente può essere spiegato, mostrato, perfino compreso fino in fondo? Questo è il grande quesito su cui si basa Megaheartz, documentario e gioco di parole della regista svedese Emily Norling, che segue le vicende di quattro donne, tra cui la stessa cineasta, tormentate da ricordi, vecchie storie d’amore, fantasmi di vite passate. Un vero e proprio viaggio allucinatorio, basato sul contrasto tra macchina a mano e camera fissa e, in particolar modo, tra rumore della quotidianità e ricercato sound psichedelico. Per certi versi un trip furoi controllo, ma studiato nei minimi dettagli, volto a scavare a fondo, là dove niente e nessuno può arrivare e osservare.

Quel che ha sempre contraddistinto la sezione “Visti da Vicino” è però il suo equilibrio. La capacità di trovare un fil rouge per legare prodotti differenti e che, almeno in apparenza, hanno ben poco da spartire. Ecco perché non stupisce che il film scelto per concludere la rassegna sia Bicchiere, la mia vita incompiuta (Glas, mijn onvervulde leven), di Rogier Kappers. La storia autobiografica del cineasta ritrattosi nel tentativo, durato anni, di coronare un sogno decisamente peculiare: ottenere successo come suonatore di organo di vetro. Un viaggio estremamente movimentato, fra trasferte, concerti, tentativi fallimentari e successi, che il regista ha descritto con la buona dose di autoironia che lo contraddistingue e che tanto si rivolge a tutti quei talenti nascosti a cui manca forse solo il coraggio di tentare.

Una ventata di ottimismo chiamata a far calare il sipario su una sezione che, anche quest’anno, ha saputo raccontare storie e dare spazio a nuove prospettive; avvicinandosi senza timore alle immagini più emarginate e bisognose di un grande schermo.

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