Bosnia Express, di Massimo D’Orzi

Ispirato liberamente al libro di Luca Leone, un documentario efficace e profondo che raccoglie nelle sue immagini una bellezza che è un approccio anche poetico all’esistenza.

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Una ferita ancora aperta è una fenditura dentro la quale si annidano nel tempo i mali. Solo la vita può richiuderne i lembi e lasciare con il suo filo di cesura traccia che diventa cicatrice. È così per la guerra, o le guerre, dovremmo dire, dell’ex Jugoslavia.
Massimo D’Orzi riflette, con il suo viaggio di ritorno nei luoghi più martoriati da quella ferita ancora, giustamente non rimarginata, per comprendere il ruolo che le religioni ebbero in quel conflitto. Bosnia Express, in Concorso a Trieste – Alpe Adria, dovrebbe essere questo, secondo le dichiarate intenzioni di D’orzi nell’incipit del suo film.
Il detour del suo pensiero e delle sue immagini ci accompagnano dentro questo viaggio sospeso tra la storia del passato e il senso di un presente da ricostruire. Un presente che vive in una Sarajevo che rinasce da ceneri diffuse, che si ritrova nei volti delle donne e nella musica, che diventa, con ogni sua forma, il vademecum e l’ispiratrice del viaggiatore alla ricerca di risposte, ma anche di domande che possano soddisfare il senso di un ritorno.
Il film di D’Orzi, liberamente ispirato all’omonimo libro di Luca Leone e che chiude la trilogia iniziata nel nel 2003 con La rosa più bella del nostro giardino, proseguita nel 2004 con Adisa o la storia dei mille anni, nasce da una impossibile catalogazione del pensiero e il senso complessivo delle immagini, che sembrano navigare in quella terra di mezzo dell’immaginazione tra la scoperta di una realtà mutevole e un innamoramento costante per la forza femminile che riscostruisce i percorsi interrotti dalla guerra, è il risultato di questa elaborazione. Un approccio alla vita nuova nel quale però sembra sopravviva un flusso che diventa sedimento, anche nelle giovani che sono nate dopo la fine delle ostilità, di quella interruzione da cui è ricominciato un percorso.
Sarajevo, Mostar diventano il simbolo di accesso ad una nuova possibilità in quella Bosnia segnata dalle stragi come quella di Srebrenica, ricordata da un Memoriale che diventa simbolo di una impossibile cancellazione della memoria coltivata anche da Jasmila Žbanić nel suo recente Quo vadis Aida? che rievoca quell’incredibile genocidio nel quale, ricordiamolo, furono trucidati a freddo 8.372 musulmani tra uomini e donne. In quella Bosnia dove le religioni si sono fronteggiate con le armi e dove, in nome dell’Altissimo si sono consumate le tragedie che ancora segnano, con ferite profonde, quei luoghi.
Sono passati quasi trent’anni da quei fatti e Massimo D’Orzi – con il suo sguardo alle cose che ricorda per certi versi il cinema di Corso Salani – sembra raccogliere nelle sue immagini, dentro una bellezza che sa farsi anche modo poetico di approccio all’esistenza, sentimenti sospesi percepiti, ma che solo le immagini del cinema sanno raccontare nella loro profonda essenza, anche quando sembrano sfuggire, anche quando i pensieri prendono un’altra direzione e insieme alle immagini sanno guardare ancora più lontano di quanto si possa immaginare.

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Regia Massimo D’Orzi
Distribuzione: Luce-Cinecittà
Durata: 70’
Origine: Italia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
Sending
Il voto dei lettori
3.42 (12 voti)
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