CANNES 56 – Favole e follie: Uno sguardo sulla Quinzaine

"Le Monde Vivant" di Eugéne Green, il portoghese "Quaresma" di Josè Alvaro Morais e "Des Plumes dans la Tete" del belga Thomas de Thier: tre film della Quinzaine des Réalisateurs che finora confermano l'anno non proprio esaltante della Croisette.

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Aspettando di vedere L'Isola, unico film italiano della Quinzaine, opera prima della palermitana Costanza Quatriglio, e Film de Amor di Julio Bressane, accennato con un making of di dieci minuti nella restrospettiva di Torino, non si può dire che i film visti finora nella sala teatro del Noga Hilton Hotel siano stati davvero esaltanti.

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Il portoghese Quaresma è un altro prodotto firmato Gemini Film del produttore lusitano Paulo Branco, che ha portato al festival svariate pellicole, tra cui A Mulher que acreditava ser Presidente dos Estados Unidos da America di Joao Bothelo (recensito precedentemente) nella stessa Quinzaine, il film di Raul Ruiz nel concorso ufficiale e Va et Vem di Monteiro, fuori competizione, il momento sublime vissuto finora alla Croisette.


Diretto da José Alvaro Morais dopo Peixe Luna del 1998, regista che ha impiegato quasi dieci anni per portare a termine O Bobo, film che ruota intorno alla rivoluzione del 1974, vincitore del Pardo D'oro al Festival di Locarno nel 1987, Quaresma è un'opera incompleta, che non scende fino in fondo nei personaggi complessi calati in ambienti dati come significanti in una storia ambientata per la prima parte in Portogallo, nella regione montuosa di Covilha, e sulle spiagge nordiche danesi nella seconda.


Ana, donna affascinante dalla psiche disturbata, vive immersa in un mondo privato, lontano dagli affari quotidiano dei familiari che la circondano, alla ricerca di un contatto diretto con i boschi, i ruscelli, le rocce su cui cammina scalza, è l'asse centrale della storia. Quando David, cugino di suo marito stabilitosi in Danimarca, preciso professionista con famiglia, torna a casa per la morte del nonno, si innamora della conturbante Ana, suo alterego che affronta la vita in modo viscerale.


Morais gira questa prima parte, nella sua terra d'origine, come un road movie; prova ad esaltarne il paesaggio, la storia, le abitudini dei suoi abitanti. Discorso capovolto quando la solare Ana diventa cupa e silenziosa dopo l'assassinio di un parente e si trasferisce nella fredda Danimarca, entra nell'appartamento della famiglia borghese di David e la musica da thriller che fa da sfondo alla vicenda potrebbe trasformarla in un altro La mano sulla culla… di Curtis Hanson; ma le tensioni psicologiche tra i personaggi non reggono e la noia è padrona della ricercatezza fotografica del portoghese.

Ancora un mondo ripreso alla ricerca della bellezza fotografica, tra laghi ghiacciati, paludi e animali messi in mostra e una donna che impazzisce per la perdita del figlio in Des Plumes dans la Tete del belga Thomas de Thier, che rischia di diventare un Haneke del futuro. La sua storia (poco originale) sulla distruzione di un a famiglia felice di fronte ad una tragedia è girata con pesantezza voluta: per un'ora e mezza lo spettatore è torturato tra le visioni della donna, che crede di vivere ancora con il proprio figlio/fantasma sempre presente e la sua caduta libera verso il suicidio; con tanto di stupro da parte del marito e una presenza disturbante di un giovane voyeur sullo sfondo.


Finalmente si ride con la favola di Eugéne Green Le Monde Vivant, al suo terzo film dopo il corto presentato a Locarno nel 2001 Le nom de feu e il precedente Toutes le nuits. Fondatore del Théatre de la Sapience nel 1977, Green è in procinto di pubblicare un libro teorico sul rapporto tra la realtà materiale e lo spirito nella rappresentazione cinematografiche e il suo film sembra confrontarsi con l'argomento.

La sua favola, con tanto di Orco che ripudia la moglie che gli cucina vegetariano, sfidato da cavaliere con leone (che è un cane) e giovane che alla fine conquista la bionda e giovane prigioniera, ambientata in una natura "animata", è girata con stile evidentemente teatrale iesibito nel finale con l'inchino degli attori. Centrata sui dialoghi "classici" tra i persoanggi che danno al tutto un tono grottesco, Le Monde Vivant cerca appunto lo spirito della fiaba nel suo schema più noto e nella sua materialità, di dialoghi e rappresentazione, evidentemente finta.

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