CANNES 61 – "The Exchange", di Clint Eastwood (Concorso)
Sembra di vedere dentro The Exchange le forme del dramma espressionista tedesco degli anni Venti. C’è Lang, Pabst, le traiettorie dei movimenti della città di Ruttmann. Ma in quest’ultima opera c’è pure tutto il cinema di Eastwood più estremo, più disperato e più lirico, di una complicità che immerge e poi sommerge con una sublime invisibilità hawksiana che non fa avvertire neanche più gli stacchi di montaggio. Sarà difficile per la giuria non farlo vincere. VIDEO
Sarà dura per la giuria non far vincere Clint Eastwood. In attesa degli altri film, è come se i selezionatori, dopo il passaggio dello straordinario Two Lovers di James Gray, consegnassero già in mano
Sembra di vedere dentro The Exchange le forme del dramma espressionista tedesco degli Anni Venti. Le ombre sul volto di Angelina Jolie, le deformazioni di quelli del capo della polizia e del serial-killer la fossa scavata dove sono stati gettati i corpi dei bambini rapiti, il modo in cui è filmata la città dall’alto (i tram, le centraliniste al lavoro) che è quasi una riduzione/citazione di Metropolis e Berlino – Sinfonia di una grande città sembrano appartenere a tutto un’immaginario di quel celebre movimento. Del resto le date dell’ambientazione del film e del movimento, coincidono. Nella tragica scomparsa del ragazzino sembrano poi riecheggiare le atmosfere di M, il mostro di Dusseldorf mentre una pienamente convincente Angelina Jolie appare come l’incarmnazione della donna perduta cinema di Pabst incarnata da Louise Brooks. Ma la sconfinata ricchezza di The Exchange non finisce qui. Sembrano essere anche presenti dei rimandi al gangster-movie degli anni Trenta, con l’immagine delle autorità corrotte e la visione di una metropoli che, come Chicago in quei film, nasconde il crimine appena al limite del fuori-campo. Ma in quest’ultima opera c’è pure tutto il cinema di Eastwood più estremo, più disperato e più lirico, di una complicità che immerge e poi sommerge. Basta vedere lo sguardo tra Christine e la donna che ha aiutato a far uscire dalla clinica psichiatrica. Non c’è mai una sbavatura, un secondo di troppo in un’inquadratura. Anzi, la sua sublime invisibilità quasi hawksiana non fa avvertire più neanche gli stacchi di montaggio, i passaggi da un’inquadratura e l’altra. The Exchange filma il lutto e la perdita con quella prorompente intensità di Mystic River e rappresenta l’esecuzione capitale con la stessa intima discrezione di Fino a prova contraria. Stavolta però non ci sono spettri che riprendono forma ma angeli. La figura di Walter scompare quasi subito ma continua a vivere per tutta la durata della pellicola. Come un altro miracolo.
The Exchange