#Cannes2018 – Grans (Border), di Ali Abbasi

Un horror atipico, spiazzante ma estremamente lucido come metafora dei conflitti contemporanei tra popoli e civiltà diverse. Un certain regard

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Tina è una donna silenziosa che vive una vita solitaria. Il suo aspetto è più quello di un freak che di un essere umano “normale” e ha una sessualità non completamente espressa pur vivendo con un compagno. Sul lavoro è impeccabile e si distingue per una qualità particolare: riuscire a sentire con l’olfatto la malvagità degli altri, la loro cattiva coscienza. Per questo lavora alla dogana dove intercetta le persone potenzialmente più pericolose. Stana in questo modo un uomo d’affari apparentemente insospettabile che nel suo cellulare nasconde una scheda con materiale pedopornografico. Un giorno incontra Vore, uno strano uomo che le assomiglia in modo particolare. I due sembrano legati da qualcosa di mostruoso e primordiale e grazie a lui Tina scoprirà presto la sua vera natura.

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È un film che oltrepassa costantemente i confini quello di Ali Abbas. Il titolo riprende infatti non soltanto la professione della protagonista, ma anche il limite del genere dei due personaggi, gradualmente messo in discussione. Femminile/maschile? Umano/non umano? Tina è in una linea di confine tra questi estremi e lo è anche il film, che si dimena in cerca di un’identità e priva lo spettatore di una focalizzazione narrativa esterna al personaggio. Capiamo tutto attraverso Tina e viviamo fino in fondo i suoi conflitti morali e identitari. Del resto Border, che è tratto da un breve racconto di John Lindqvist – l’autore di Lasciami entrare – è un horror girato con piani strettissimi e quasi senza effetti speciali che riduce in modo considerevole la suspense e l’uso del fuori campo, a vantaggio di una mostruosità che è tutta dentro al reale. Siamo esplicitamente dalle parti di Browning, con l’aggiunta di simbolismi alla Lars Von Trier. È un film ingolfato, difficile da amare, ma allo stesso tempo innegabilmente politico e interessante. Perché i conflitti tra l’uomo e l’altro e la scelta da compiere sui concetti di vendetta, di stirpe e di coabitazione sociale e culturale sono molto attuali. E molto probabilmente riflettono l’angoscia personale di un cineasta, iraniano di nascita ma danese di adozione, sospeso tra due mondi e due civiltà.

 

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