CORPI E ANIME

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Le teorizzazioni degli anni Ottanta sono giunte a compimento: il corpo resiste, compare fra le sue pieghe l’anima e un concetto nuovo di famiglia. Per capirci qualcosa, provate a mettere assieme Gran Torino e The Wrestler

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gran_torino_eastwoodCol tempo impari ad andare al cinema non più per soddisfare un godimento estetico e neppure per quel piacere fisico che certi film possono regalarti (quello comico o quello orrorifico, quello pornografico e quello tensivo). Vai al cinema perché riconosci che, in quella sala buia, puoi venire a capo di certi tuoi spettri, puoi incontrare, talvolta, la tua anima.

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Clint Eastwood questa cosa la sa bene e la pratica sapientemente in molti dei suoi ultimi racconti. E i film diventano suoi anche quando la regia è di qualcun altro: lui entra in scena e il suo corpo finisce puntualmente per dominare la storia, per sottometterla ai suoi tic, alle pieghe della sua pelle, all’artrosi che gli altera la forma delle dita. Il cinema diventa, così, quasi magicamente, un’esperienza totale, un’esperienza diversa: stiamo lì a cercare d’immaginarci come saremo, come vorremmo essere a settant’anni e passa.

gran_torinoLa storia che seguiamo è un vettore comodo, un qualcosa che si trasforma, grazie alle ovvie strategie del testo, in una strada che percorriamo come se fosse quella che ci porta a casa. E’ un luogo che pensiamo di conoscere, che sappiamo di conoscere. Il film diventa, così, un tessuto ricco simile a un territorio, non più composto da fili discreti ma compatto e duro come il terreno d’un deserto, diventa una terra scomoda, con un pessimo clima che, comunque, non possiamo non amare: Clint gioca con questo desiderio intimo che ci lega reciprocamente (Bettetini forse chiamerebbe questa cosa “protesi narrativa”: un legame che stringe me spettatore con il testo – ma qui il testo è ridotto a poca cosa: ciò che desidero veramente è legarmi definitivamente a lui, all’attore che deve, in qualche modo, diventare un mio parente – un fratello maggiore, un padre, cose così). Cerchiamo un legame, una famiglia e ci sembra che Eastwood, con tutte le sue manie, col suo modo di fare scorbutico e antipatico, pure ci rappresenti bene, metta in luce una parte di noi tutt’altro che ordinata e composta. Ci riconosciamo, al contrario, proprio nelle sue contraddizioni, nel suo mugugnare, nel suo modo di fare scorretto e leale, sbagliato e appassionato. Come lui cerchiamo soluzioni possibili in un mondo terribilmente approssimativo. Ci riconosciamo come ci riconosciamo nei nostri genitori e la sua figura sta lì a dimostrare che una famiglia “perfetta” è ancora possibile, augurabile e, anche se viviamo a migliaia di chilometri di distanza, sappiamo bene di essere suoi diretti discendenti: è lui il nostro padre putativo.

the wrestlerE, ci sembra magicamente, il rito si sostanzia, si ripete, e testi si sommano a testi, stranamente congruenti, potentemente reali: al corpo invecchiato e turgido di Clint Eastwood si coniuga quello imbolsito e sfatto di Mickey Rourke. Ci riconosciamo: se Clint è nostro padre, beh, Mickey è quello che siamo, è come ci siamo ridotti (dentro).

Parlo per me, certo. Però è difficile vedere gente meno tumefatta in giro. Senza aver partecipato a una guerra, ne portiamo comunque i segni: le guerre più violente, probabilmente, sono quelle che avvengono dentro di noi.

Sembra strano anche a me ma questi due film  the_wrestlermettono assieme esperienze vicine e facilmente si sovrappongono: affrontano entrambi lo stesso tema – The Wrestler definisce chiaramente, così come succede in Gran Torino, la necessità di una famiglia vera, una famiglia capace di sostenerti, capace di capirti, una famiglia per la quale, se necessario, vale la pena lottare, vincere e, talvolta, morire.

Niente da fare: in nessuno dei due casi è la famiglia “naturale” a vincere. A venir fuori è una famiglia più compatta, più forte, più determinata, più vera, dove i legami appartengono a un sangue che scorre in anfratti più nascosti e, per questo, più veri, più sentiti. Sono legami che mettono in contatto anime diverse,  fiumi che scorrono irrigando giardini appartenenti a uomini distanti. Sono legami forti, definitivi, terribilmente seri, violentemente vissuti. Sono legami che meritano religiosi silenzi e sangue scuro – se necessario.

Allora, se esiste un cinema che ci piace e un altro cinema, quello a cui vogliamo bene, bisogna ipotizzare la presenza di un’altra entità, appassionante e definitiva, capace di mettere assieme sguardi, corpi e anime. I film diventano strumenti capaci di coniugare uomini, capaci di creare legami, capaci di ricreare parole donando loro sensi e prospettive nuove. Non c’è nulla di magico, nulla di misterioso. Un senso nuovo, intimo, profondo, crea legami che nessuna rete potrà mai permettersi. Un profondo senso di appartenenza è scatenato da chi è capace di mettere in gioco il proprio corpo in modo tanto sincero che vederne attorno l’anima diventa un gioco da ragazzi.

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    3 commenti

    • Michele Centini

      Ho visto The wrestler e Gran Torino. Il primo è un film vecchio, sorretto da un impianto nostalgico e dalla disillusione nei confronti della vita. Aronofsky è un onesto mestierante (da Pi greco a The fountain fino a The wrestler non ha cambiato di una virgola la direzione del suo cinema, scopiazzato e citazionista) ma il Leone d'Oro rimane un mistero (di Wenders). Gran Torino non è affatto banale come The wrestler, è solo vecchio stampo, è un film pudico e morale. Ma finisce lì. Non essendo un fanatico di Eastwood non ne riesco a capire la portata estetica (se c'è). Forse Changeling era un film molto puù lancinante e senza speranza, nonostante la presenza di Angelina Jolie lasci il dubbio che la messa in scena sia impostata esclusivamente su di lei (e che quindi rimesti un sospetto di ricattatorio: intendiamoci lo fa anche Von Trier, ma lui lo può fare).

    • Aronofsky è tutto tranne un "onesto mestierante" (piuttosto e' vecchia questa terminologia critica), semmai è un autore eccentrico molto discutibile che in The Wrestler, per una volta, si è messo a disposizione del corpo/film (Rourke). Se The Wrestler e Gran Torino sono film "vecchi" bisognerebbe imparare a riusare la categoria come gli antichi, ovvero film saggi, sapienti, ricchi di vita. Dove sta la banalità? Nell'avere un perdente come eroe? E infine: perchè citare un cineasta falso e crudele come Von Trier in un commento a un articolo su chi fa un cinema Morale? Una bestemmia…

    • Forse la dovremmo smettere tutti con l'idolatria dell'autore. E cominciare, invece, a praticare l'idolatria degli scrittori… Quando leggo degli articoli così penso che a volte è possibile che chi scrive di cinema ci regali oggetti nuovi e misteriosi, altrettanto e a volte persino più belli dei film di cui parla