Daniele Gaglianone, Valerio Mastandrea, La mia classe e il senso del cinema


"Quello che volevamo raccontare non è centrato sull'immigrazione, sull'idea dell'istant movie, quanto su una domanda che si chiede spesso chi si pone in maniera critica in confronto al lavoro che va compiendo da anni: qual è l'utilità del cinema, di quello che stiamo facendo? Girare film non basta, o forse non basta più…" Attore e regista de La mia classe presentano il film a Roma

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"Il film uscirà dove vorrà essere proiettato, e quando lo vorrà", dice Gianluca Arcopinto, che non ha intenzione di far stritolare un "piccolo film di sistema" come La mia classe dalla folle logica della distribuzione italiana: "cerchiamo di far girare il film prendendo accordi sala per sala, aspettando le proiezioni per le scuole e le associazioni, tentando di non essere complici della propria stessa morte incaponendosi per una distribuzione ufficiale che duri magari 4 giorni…". E dunque, il film di Daniele Gaglianone è già in sala con grande seguito di pubblico a Milano dallo scorso weekend, e approda a Roma il 23 gennaio, dopo aver girato i festival d'Europa (Venezia e poi Istanbul, Londra – "un'accoglienza calorosissima", Madrid, Tolosa…). Alla stampa capitolina è stato presentato oggi negli spazi dell'Esc Atelier di via dei Volsci.

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Gaglianone: Per essere un film internazionale, i cui protagonisti fattivamente raccontano il mondo intero, è allo stesso tempo un'opera molto italiana, perciò il successo avuto in queste proiezioni fuoricasa mi ha sorpreso e rassicurato. E' la conferma che la struttura complessa del film, che sulla carta sembrava molto teorica, celebrale, sullo schermo si è tradotta in maniera semplice, diretta.

Mastandrea: quello che volevamo raccontare alla fine non è centrato sull'immigrazione, sull'idea dell'istant movie, sull'integrazione, quanto su una domanda che si chiede spesso chi, come me o Daniele o Gianluca Arcopinto, si pone in maniera critica in confronto al lavoro che va compiendo da anni: qual è l'utilità del cinema, di quello che stiamo facendo? Girare film non basta, o forse non basta più, il cinema non serve a nulla. Quando dico questa cosa nel film, a Venezia è scattato l'applauso in sala a scena aperta…

Valerio Mastandrea, tu sei anche uno dei produttori del film, oltre ad essere l'unico attore professionista in scena, e la voce a cui è affidato il racconto in chiusura dell'opera. Quanto ti ha impegnato la sfida di questo set?

Mastandrea: avendo deciso di essere sempre in scena, questo è stato un film da cui non mi scollavo neanche tornando a casa alla fine delle riprese, una cosa che mi riesce sempre comunque difficile, in ogni set. E' stato devastante. Ho lavorato tante volte con i non professionisti e sono una benedizione, ti aiutano ad uscire dalle trappole del mestiere reiterato. In questo caso, anche io e Daniele, e il cast tecnico tutto, ci siamo posti prima come esseri umani in questa avventura, e poi come "professionisti". 

Gaglianone: nel finale, durante quella sorta di racconto/sogno che fa Valerio, è infatti difficile per lo spettatore capire se a farlo sia il personaggio-maestro, o l'attore Mastandrea. I due livelli sono ormai del tutto fusi tra di loro. Anche mentre davo indicazioni alla troupe ad un certo punto i miei collaboratori non capivano più se li stessi dando come il regista-personaggio o se fossero effettive note di regia. In sala di montaggio avevo paura a rivedermi in scena, ma era necessario, ad esempio per far funzionare quella miccia esplosiva della discussione con la classe al momento della "espulsione" di Issa. 

Mastandrea:
ancora oggi mi è appunto difficile riuscire a parlare di questo ruolo come di un "personaggio"!

Quello di Daniele Gaglianone è sempre un cinema dove il set assume un'importanza massima, e la mdp ne esplora senza posa i confini come a volerne mappare l'esatta apertura. Qui è come se la realtà volesse in qualche modo irrompere nel movimento di disegno del raggio d'azione della macchina, per spezzarlo. Ma l'occhio del regista alla fine sembra prendersi una rivalsa "inglobando" anche questa intrusione nel movimento, di fatto riappropriandosi di questo imprevisto con i mezzi stilistici del cinema…

Gaglianone:
è chiaro, come ha già detto Valerio, che più che all'attualità o al preciso canovaccio del "film sulla scuola", stavamo guardando ad una riflessione sulla natura arcaica, basica, del cinema al giorno d'oggi. Chiamatela un'opera sperimentale, ma non in quell'accezione di "film in cui non si capisce nulla": qui quello che volevamo dire mi sembra invece al contrario del tutto evidente, ancora più di quanto mi aspettassi mentre giravamo o montavamo. Mi sono imbarcato con una grandissima paura di fare un film inguardabile in questo rischiosissimo progetto, che mi è stato portato da Gianluca Arcopinto sulla base di un'idea per una serie tv di Gino Clemente e Claudia Russo, da anni insegnante nei CTP. Per fortuna siamo riusciti a tenere la barra dritta fino alla fine, con una concentrazione altissima e costante. Adesso davvero mi sento pronto a poter girare qualunque cosa. Come nella scena della discussione che ho citato prima: ai ragazzi della classe non era stato raccontato tutto del progetto, e così è venuto fuori questo film di reazione a situazioni minimamente costruite. Anche il sovvertimento intero della sceneggiatura l'abbiamo deciso all'improvviso, d'urgenza, due settimane prima di iniziare a girare. Sì, è un film sulle contraddizioni, ma invece di risolverle in un racconto catartico, le abbiamo messe in scena in maniera diretta, e totale. 

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