Day of the Fight, di Jack Huston

Il giorno della redenzione di un pugile ferito nell’anima magnificamente interpretato da Michael Pitt. Un film sincero e imperfetto, per questo commovente. VENEZIA80. Orizzonti Extra

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“Was it a huntsman or a player. That made you pay the cost”, canta Sixto Rodríguez nella splendida Crucify Your Mind che il pugile Mike Flanaghan sceglie di ascoltare (non a caso) per iniziare il suo lungo giorno della redenzione. New York, fine anni Ottanta. Michael Pitt interpreta un trentenne da poco tornato in libertà dopo aver scontato in carcere la pena per l’omicidio stradale di un bambino. Un senso di colpa che non lo abbandonerà mai e che tinge il suo (e il nostro) orizzonte di un livido bianco e nero. Era un campione del mondo dei pesi medi Irish Mike, aveva una moglie e una figlia che adorava, aveva tutte le carte in regola per essere felice… ma anche troppe ferite nell’anima per i contrasti con il padre autoritario e il doloroso ricordo del suicidio della madre. Insomma, i demoni interiori e gli eccessi delle dipendenze lo hanno da tempo sconfitto socialmente quando lo incontriamo in questo lungo “day of the fight”. Ossia il ritorno sul ring contro l’attuale campione del mondo ma anche l’ultimo tentativo di sfiorare una redenzione terrena e spirituale.

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L’esordio alla regia dell’attore Jack Huston (lo ricordiamo soprattutto in Boardwalk Empire insieme a Michael Pitt, appunto) è ovviamente legato al ricordo di uno degli ultimi straordinari film del nonno John. Si inizia omaggiando Fat City, pertanto, con il protagonista che (esattamente come Stacy Keach nel 1972) prepara lentamente la sua borsa da pugile e scende le scale di casa affrontando il fantasma dei suoi fallimenti. Il confronto con gli amati modelli prosegue – sin dal titolo ispirato evidentemente all’iperrealismo documentaristico di Kubrick nel suo esordio del 1951 – con il bianco e nero e il sonoro ambientale di Toro scatenato, i pedinamenti urbani di Rocky e le dilatazioni temporali di The Wrestler. L’enorme archivio immaginario palesemente chiamato in appello, però, non viene mai riutilizzato come sterile omaggio nostalgico bensì come referente emotivo di sentimenti vivi e urgenti.

Sì, perché Day of the Fight è soprattutto un film di primi piani su straordinari attori che riescono a costruire ogni back story dei loro personaggi con singoli micromoti del volto. Mike vuole incontrare e dare il giusto tempo ai suoi cari, e solo dopo affrontare il suo avversario sul ring. E allora: il sorriso affettuoso e beffardo di Steve Buscemi apre abissi dolorosi sul passato dell’amico; l’espressione scultorea di Ron Perlman, rispettando lo stereotipo dell’allenatore burbero dal cuore tenero, accompagna dolcemente Mike verso il destino che ha scelto; le lacrime di rabbia e amore della compagna Nicolette Robinson che reinterpreta la struggente Have You Ever Seen the Rain? dei Creedence Clearwater Revival aprono la dimensione melodrammatica confinata in fuori campo; infine, ovviamente, c’è il volto di Joe Pesci che con la sua sola apparizione schiude interi universi immaginari del cinema americano e nel contempo una fortissima contingenza emotiva. Una sequenza in qualche modo ispirata a un altro capolavoro della New Hollywood, Cinque pezzi facili di Rafelson, con un figlio perduto e arrabbiato che riesce faticosamente a ricongiungersi con il padre affetto da demenza senile perdonando le sue colpe.

Insomma, Huston è bravo a costruire il credibilissimo percorso umano di un uomo che declina ogni pensiero al passato cercando gli ultimi bagliori di vita nel presente (complice anche un Michael Pitt in versione Mickey Rourke, capace di creare un cortocircuito attore/personaggio di notevole potenza). Nello stesso tempo, però, il regista esordiente non si fida troppo di se stesso eccedendo in qualche vezzo formale e in qualche ridondanza narrativa esplicitando inutilmente situazioni già chiarissime nei volti degli attori. Al netto di questa comprensibile ansia da prestazione, però, Day of the Fight è un film che crede nei suoi personaggi amandoli nelle loro contraddizioni. Un film di volti autentici e ambienti reali, canzoni popolari e sentimenti trattenuti, attimi di redenzione e ombre incombenti. Un film che nell’epoca delle dilaganti intelligenze artificiali ha il coraggio di affidarsi senza compromessi al talento dei suoi attori e all’originaria capacità di identificazione di noi spettatori. Un film sincero e imperfetto, per questo commovente.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
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Il voto dei lettori
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