"Dorian Gray", di Oliver Parker
Ennesima, forse l'undicesima, trasposizione del romanzo di Oscar Wilde. Il regista sembra farsi fagocitare più dalle atmosfere torbide del thriller che da quella raffinata e sconvolgente analisi psicologica dell’anima tormentata di un uomo che cerca nell’esteriorità la ragione e lo scopo ultimo della sua esistenza. C'è una tremenda spaccatura tra il principio oscuro della propria volontà e il principio della luce, della comprensione
Ennesima, forse l'undicesima, trasposizione del romanzo di Oscar Wilde. Con questo libro il giudice Carson portò in tribunale quella che, a suo parere, era una delle prove più incriminanti dell'intima depravazione di Oscar Wilde. Il romanzo, si disse, non metteva sufficientemente in chiaro se l'autore preferiva la malvagità alla virtù. A questo, Wilde rispose con uno degli epigrammi inclusi nella prefazione al romanzo, da tutti ritenuto il suo manifesto artistico: “L'artista non ha convinzioni etiche”. Ma è probabilmente proprio sul confine del bene e del male che il regista non trova la chiave giusta, facendosi fagocitare più dalle atmosfere torbide del thriller che da quella raffinata e sconvolgente analisi psicologica dell’anima tormentata di un uomo che cerca nell’esteriorità la ragione e lo scopo ultimo della sua esistenza. Per questo è disposto a commettere azioni delittuose. Senza dubbio c’è una inconsapevolezza, certo non innocente, in chi compie il male, l’uomo non lo sceglierebbe se ne avesse lucida coscienza. Ma se a questa perviene è così dolorosamente drammatico l’impatto che non riesce a sopportarlo. Oliver Parker ci riprova con Oscar Wilde, dopo la commedia satirica L'importanza di chiamarsi Ernest, del 2002, ma qui ci ritroviamo in un mondo totalmente diverso anche per lo stesso scrittore. Cinema calligrafico ed estetizzante, pur se a tratti convincente, soprattutto in alcune riprese esterne e di notte per le strade londinesi. Lontani da voler trovare un parallelo tra testo scritto e trasposizione cinematografica, va comunque sottolineato come il film manchi proprio nella capacità di mostrare il “reale” come principio di contrazione, un principio di movimento “verso l'interno”. Il protagonista, Ben Barnes (Le cronache di Narnia), non si fa trasfigurare dal cinema e trapassare dai nostri sguardi, fino al punto di evitare il dissolvimento, sotto i nostri occhi. L'isolamento demoniaco è soltanto suggerito e diventa una nefasta metafora di questo Dorian Gray: c'è una tremenda spaccatura tra il principio oscuro della propria volontà e il principio della luce, della comprensione. Parker resta scottato dalle fiamme del desiderio e del peccato, provando a spingersi su sentieri complicati e incomprensibili e alla fine il suo principio oscuro non è altro che una volontà incapace di stabilire, anche per un attimo, l'unità con la luce, e quindi diventa puro appetito (parentesi alimentare) o desiderio, volontà cieca.
Titolo originale: id.
Regia: Oliver Parker
Interpreti: Ben Barnes, Colin Firth, Rebecca Hall, Emilia Fox, Fiona Shaw, Ben Chaplin
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 112'
Origine: Gran Bretagna, 2009