Efebo d’Oro 2019 – Ceux Qui Travaillent, di Antoine Russbach

Fotografia spietata sul mondo del lavoro, l’opera prima del regista ginevrino classe 1984 si poggia tutta sulle spalle di un grande attore come Olivier Gourmet

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Le grosse disfunzioni del sistema capitalistico e il loro impatto sulla sfera professionale ed affettiva. Per il suo primo lungometraggio, Antoine Russbach, regista ginevrino classe 1984, sceglie di raccontare una storia riflesso del contemporaneo poggiando la sua opera sulle robuste spalle del grande attore Olivier Gourmet che interpreta Frank, un dirigente d’azienda cinico e spregiudicato che si è fatto dal nulla. Vediamo Frank spesso col cellulare in mano, alle prese con decisioni importanti, diviso tra casa e ufficio, con cinque figli da mantenere e moglie casalinga. Quando un clandestino si introduce in una delle navi cargo che trasportano merci dalla Liberia in Francia, Frank per evitare ritardi e complicanze che potrebbero comportare una grossa perdita di profitto, ordina via telefono di gettare il rifugiato in mare, by-passando leggi e procedure. Questa decisione comporta la perdita del lavoro e la presa di coscienza da parte di Frank come il confine tra ricchezza e povertà sia labile e basta un niente per vedere svanire i sacrifici di una vita.

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Russbach sceglie un tono rigoroso e minimalista che ripropone le caratteristiche psicologiche del protagonista: l’ordine e la disciplina della vita familiare riflettono quelle della sua professione con poche deroghe all’affettività e al sentimentalismo. Molto significativa la scena del colloquio con la psicologa che dopo averne tracciato un profilo preciso si accorge di come quest’uomo fuori dal suo ambiente lavorativo sia completamente sperduto, privo di una sua identità.
A rendere più convincente lo sviluppo di questa parabola esistenziale abbiamo il valore aggiunto dell’interpretazione di Olivier Gourmet che varia dalla sindrome da stress post traumatico (splendida la sua postura e la conformazione del viso di fronte alle domande indiscrete di un rivale/collega di lavoro che finge di assumerlo solo per carpirne qualche segreto professionale) fino all’apertura al mondo familiare in quella cena con moglie e figlie che è insieme confessione e giustificazione della glacialità delle sue relazioni col prossimo. Dal momento in cui Frank è costretto alle dimissioni da un consiglio d’amministrazione che non vede l’ora di farlo fuori (troppo duro, troppo chiuso al dialogo) si cade in una sensazione di vuoto angosciante: la scelta di tenere sempre fermo il punto di vista di Frank permette allo spettatore di sentire più nitidamente questo senso di depersonalizzazione e di depressione. Lo sguardo verso i familiari (soprattutto sulla piccola Mathilde) e quello verso le cose materiali (la piscina, la sedia dell’ufficio, i cellulari) sono entrambi contaminati da una muta disperazione. Il disprezzo di gran parte dei suoi cari alla notizia di come è stato fatto fuori il clandestino non dipende da una problematica etica ma dalla consapevolezza della perdita delle comodità piccolo-borghesi. Così il comandante della nave cargo Cervantes (nomen/omen) pur rinfacciando il sacrificio di un innocente sull’altare del capitalismo si rende conto di essere come Frank uno degli ingranaggi di una macchina ormai oliata tesa a rispettare la legge sacra del mercato globale.

Già presentato a Locarno nel 2018, in concorso a Palermo per L’Efebo d’Oro per le opere prime e seconde, Ceux Qui Travaillent è una fotografia spietata sul mondo del lavoro molto influenzata dai recenti lavori dei fratelli Dardenne, di Laurent Cantet e Stephane Brizè. Il finale con una inquadratura fissa che vede muoversi nei suoi confini i sei componenti della famiglia rimanda all’amara considerazione degli ampi intervalli di confidenza su cui si calcola la dimensione etica: nella New Economy globalizzata il progressivo possesso di più cose va di pari passo con la perdita dei principi morali e con un sovvertimento paradossale nella scala dei valori.

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