EURO 2020 – Nero a Metà

L’Italia oggi è più un polpo, piuttosto che una piovra, i tentacoli sono braccia protese non per abbracciare ma per assaporare una nuova condizione… nero a metà

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Nel 1980, edito da Feltrinelli, veniva pubblicato “Nero di Puglia”, libro passato inosservato al grande pubblico, ma che credo si possa annoverare tra le folgorazioni letterarie nostrane più incisive e toccanti degli ultimi 40 anni. L’autore, Antonio Campobasso, attore e regista, scriveva magistralmente, con pochi eguali, di emarginazione, solitudine, ingiustizia. Nato il 2 giugno 1946, lo stesso giorno della proclamazione della Repubblica Italiana, Antonio è figlio di un soldato statunitense rientrato in patria alla fine del conflitto, e di una ragazza madre, una donna che, lasciata sola, non ha avuto la forza di crescere suo figlio in un meridione che non accetta i nati “bastardi”, figuriamoci se di colore. Ciò la porta ad abbandonare il suo bambino per trasferirsi nel Regno Unito con un inglese. Rimasto solo e accudito dalla nonna nel paese di Triggiano, il giovane Campobasso comprenderà ben presto cosa vuol dire crescere soli in un ambiente in cui il pregiudizio e l’ignoranza la fanno da padroni, trascinandolo in una spirale senza fine che lo condurrà dall’Orfanotrofio di Giovinazzo al riformatorio di Bari, fino al carcere di Poggioreale. Non è un romanzo, e nemmeno una autobiografia. È una prosa, interrotta a tratti per cercare il ritmo dei versi, densa di rabbia, tristezza e malinconia. È un grido di denuncia, di un’infanzia e di un’adolescenza rubate, della ricerca di affetto e amore (rappresentata dall’autore dai continui riferimenti alla madre) in cui Antonio non reprime la sua indignazione, lasciandola intatta nello scorrere dei versi, ricchi di imprecazioni e bestemmie.

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Ma è proprio in questo modo che l’autore mantiene la potenza suggestiva e lirica delle parole, e la poesia diviene un espediente per restituire la rabbiosa volontà di denuncia. Un’opera incredibilmente devastante, che da alcuni suoi versi si potrebbe ricavare l’inno nazionale, magari una versione aggiornata dell’attuale cosi tanto maltrattato dai nostri calciatori, che sbagliano il tempo, scambiano le parole, invertono il senso, dovrebbero inginocchiarsi per l’oltraggio: “Gloria alla vecchia, che più di cristo merita altari, più di ogni dio insignificante vuole che le si paghino inni saltati e cantati come in una foresta africana. E’ giusta, è grande, ha patito ora per ora in una storia che non è quella dei grandi. I suoi stracci sono vestiti di luce, il suo volto mette fuori fulgori, costringe i serafini del tempio a coprirsi gli occhi, copre di vergogna i santi di dio. I tozzi di pane elemosinati sono più sublimi di ogni assurda eucarestia. Il negro, il bastardo, lo ha fatto creatura con il calore del suo corpo. E’ in mezzo ai cori degli ordini angelici, se mai sono al di là dei cieli di pietra”.

Storia di un altro nero a metà, che lo stesso Pino Daniele prese come ispirazione per realizzare il suo stupendo terzo album, sempre nel 1980, che ricordava quanto fosse piena la nostra terra dei figli della guerra: ma quel titolo ricordava anche quanto fosse difficile prendere posizione, soprattutto per un Paese come il nostro, meravigliosa meta a metà. Allora i nostri calciatori, una parte si sono inginocchiati, l’altra no, non ha trovato le ragioni per farlo. D’altronde non inginocchiarsi per George Floyd non significherà per forza essere razzisti. Neri a metà, tentennio tipicamente italiano, altro pensiero retorico. Simbolicamente sarebbe giusto aderire al “Black Lives Matter”, poco importa se nelle prossime gare sarà presa una decisione unanime, in un verso o nell’altro, resterà indelebile l’immagine di una squadra nera a metà. Una squadra che perde la conchiglia protettiva esterna per divenire un polpo (nei casi più “estremi”, una piovra…) si rende particolarmente vulnerabile alla predazione, come racconta attraverso immagini sublimi, premio Oscar quest’anno quale miglior doc e visibile su Netflix, My Octopus Teacher. Le tecniche di camuffamento dimostrano l’adattamento contro i predatori ma non bastano.

Agli azzurri basterà modificare il colore epidermico e posporre la gratificazione di un desiderio che manca da anni? Sarebbe appunto un superbo indicatore di forza, intelligenza e coraggio. Un po’ come i polpi, ai quali l’intelligenza non manca, anzi è distribuita lungo tutto il corpo e in ogni ventosa. Memorabile è la scena del cefalopode che “cavalca” uno squalo pigiama per non essere divorato. L’Italia oggi è più un polpo, piuttosto che una piovra, i tentacoli sono braccia protese non per abbracciare ma per assaporare una nuova condizione, quella che mette in circolo la necessità del gruppo e le necessità scatenate dalla “fame”. Non più così brutti, sporchi e cattivi, bensì: “Il feeling è sicuro, quello non se ne va, lo butti fuori ogni momento, è tutta la tua vita e sai di essere un nero a metà“.

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