Festival d'estate in Corea: PiFan e RealFan

Un bilancio sulle due manifestazioni deve registrare la professionalità del nuovo staff del PiFan, capeggiato dal nuovo direttore Zeong Chosin, che, nonostante il giro di tempo davvero limitato, è riuscito a mettere in piedi un evento complessivamente in continuità con le precedenti edizioni.

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di Paolo Bertolin

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Come in ogni paese con un mercato cinematografico sano, ossia operativo per 365 giorni l'anno, e non soltanto pienamente funzionante in autunno ed inverno, come capita in Italia, anche in Corea del Sud è l'estate la stagione delle uscite più attese. Nonostante il caldo torrido, mitigato dall'uso ed abuso d'aria condizionata, il pubblico di Seoul affolla le sale cinematografiche all'uscita non soltanto dei blockbuster USA, War of the Worlds, The Island o Charlie and the Chocolate Factory, ma ancor più per i più attesi film coreani dell'anno, campioni d'incasso come Sympathy for Lady Vengeance di Park Chan-wook (in concorso a Venezia) e Welcome to Dongmakgol (commedia su un villaggio isolato che negli anni '50 vive dimenticato e dimentico della Guerra di Corea…), nonché per la consueta valanga di horror estivi, il cui menù quest'anno include, come da tradizione sciamanica tipicamente coreana, un'abbondante serie d'oggetti abitati da spiriti che covano rancore: delle scarpe rosse in Punhong Sin, un violoncello in Ch'ello e, udite udite, una parrucca in Kabal.


Accanto ai prodotti mainstream abbondano pure le proposte d'essai che, in un mercato dove giustamente non si ritiene che i film abbiano una "data di scadenza", offrono assieme a titoli recenti, come South of the Clouds di Zhu Wen o l'ultimo omnibus di corti digitali prodotto dal festival di Jeonju e firmato Apichatpong Weerasethakul, Song Il-gon e Tsukamoto Shin'ya, uscite che da noi si considererebbero notevolmente tardive di classici da festival come La Captive della Akerman, Inquietudine di Oliveira o Shoujyo di Okuda Eiji. Meglio tardi che mai!, si potrebbe esclamare a ragion veduta, se si considera pure che la lista di uscite tardive include anche due inediti dei fratelli Taviani, La Notte di San Lorenzo (1983) e Fiorile (1993); a giustificazione di simili lacune bisogna qui ricordare come fino alla fine degli anni '80, in Corea del Sud esistesse un rigido contingentamento delle importazioni di film, nonché, sino ai tardi '90, un veto sull'audiovisivo giapponese (discendente da un radicato risentimento post-coloniale, spesso ideologicamente ed economicamente ben sfruttato), di conseguenza solo nell'ultimo decennio i cinefili coreani hanno potuto aver accesso a moltissime pietre miliari del cinema d'autore internazionale, accogliendole spesso con l'entusiasmo e la curiosità della scoperta.


Come se non bastasse, il circuito culturale e festivaliero coreano intensifica il suo calendario con retrospettive di esotici e ancor poco noti (vedi sopra) maestri europei, come Bergman o Buñuel, selezioni della produzione indipendente locale, festival di cortometraggi o dell'animazione. Al centro assoluto del proscenio, due festival di cinema fantastico, rivali e contrapposti, il PiFan (Puchon International Fantastic Film Festival) e il RealFan (Real Fantastic Film Festival). Il PiFan, alla sua nona edizione è stato sin qui rispettato come il maggiore evento di cinema fantastico d'Asia dalla stampa internazionale, e soprattutto locale, mentre il RealFan è nato giusto quest'anno da una costola contestataria dell'evento maggiore. L'ex direttore Kim Hong-joon, e Creta Kim e Ellen Kim, che componevano il comitato selettivo del PiFan sin dalla creazione, si sono visti dare il ben servito tra la fine dello scorso anno e gl'inizi del 2005 dall'amministrazione locale di Bucheon (città satellite nell'area metropolitana di Seoul), ufficialmente per l'insoddisfacente appeal presso il pubblico delle famiglie di un festival troppo di frangia e incline all'horror, ufficiosamente perché nel suo discorso di ringraziamento all'inaugurazione dell'edizione 2004 Kim Hong-joon aveva esitato alcuni secondi dimenticando il nome del sindaco di Bucheon, Hong Geon-pyo: un affronto intollerabile nel contesto rigidamente formalistico della Corea. In tutta risposta, i tre Kim hanno dunque organizzato un evento contrapposto, battezzandolo significativamente RealFan, e invitando l'industria e il pubblico locali a boicottare il PiFan, compromesso dall'imbarazzante ingerenza della politica negli affari del cinema (certamente ai lettori italiani tutta questa storia rammenterà la dimissione anticipata di Alberto Barbera da direttore della Mostra di Venezia quattro anni fa…)

Nelle medesime date, ad un'ora circa di distanza in metrò (il RealFan si teneva nel centro pulsante di Seoul, presso Insa-dong, la principale via turistica della metropoli), si sono quindi svolti due eventi da numeri e prerogative divergenti: 2.3 miliardi di won di budget per il PiFan, forniti dall'amministrazione locale di Bucheon, 200 milioni di won per il RealFan, raccolti attraverso donazioni di colleghi nell'industria o di singoli privati, 200 film in calendario al PiFan contro i 60 al RealFan, ma, soprattutto, al PiFan un solo nuovo lungometraggio coreano (The Wind Mill Palm Forest di Jonathan Yu, che non ha ancora distribuzione e certo faticherà a trovarla dopo la scelta di partecipare al PiFan) e gli omaggi ai registi Park Chul-soo e Ko Young-nam mitigavano il boicottaggio totale dell'industria e della stampa locali, mentre il RealFan poteva contare sull'appoggio "partigiano" di giornalisti e produttori, nonché di noti registi come Park Chan-wook o Bong Joon-ho, e su una selezione di recenti film nazionali, quali A Bittersweet Life di Kim Jee-woon e Crying Fist di Ryoo Seung-wan, appena visti a Cannes, o l'atteso Blood Rain di Kim Dae-seung. Persino le rispettive inaugurazioni si sono svolte in uno scontro diretto, quasi concertato, all'insegna del cinema russo: al PiFan, con Nightwatch (Nochnoj Dozor) di Timur Bekmambetov, blockbuster moscovita 2004 che inaugura una trilogia dai romanzi horror di Sergej Lukyanenko; con il restauro del muto sovietico Aelita (1924) di Yakov Protazanov invece al RealFan.


Un bilancio a giochi fermi sulle due manifestazioni deve registrare inevitabilmente la professionalità del nuovo staff del PiFan, capeggiato dal nuovo direttore Zeong Chosin, appuntato giusto un paio di mesi prima del festival, che, nonostante il giro di tempo davvero limitato, è riuscito a mettere in piedi un evento complessivamente in continuità con le precedenti edizioni. Quel che ha leso irreparabilmente il PiFan è stata però l'assenza dello star system e della macchina promozionale dell'industria locale, mancanze che hanno visibilmente sminuito il colore e la vitalità dei fan attorno al festival: niente gadget, stand e manifesti per nuovi film in uscita, niente ragazzine alla ricerca di foto delle star alle cerimonie ufficiali, afflusso di pubblico apparentemente limitato al bacino d'utenza locale. Sull'altro fronte, il RealFan ha potuto contare sull'esperienza e i contatti di un team collaudato che ha potuto contare su diversi appoggi incrociati, assicurandosi quindi come programma speciale una retrospettiva titolata "Marx Attacks!!!", una dozzina di pellicole fantastiche dell'ex blocco comunista, già proposta ad alcuni festival di fantastico europei. Al RealFan mancavano forse le strutture e un corpus di titoli nuovi davvero di spicco, ma certamente il pubblico, anche per la collocazione in piena Seoul ha risposto molto positivamente.


Nel complesso, si potrebbe concludere che la sfida s'è conclusa con una partita patta, nonostante la vittoria simbolica che la stampa locale aveva attribuito al Davide RealFan contro il Golia PiFan ancor prima dell'inizio del tenzone, soprattutto perché lo scontro tra i due festival non ha giovato per nulla all'industria locale. In anni passati, il PiFan s'era affermato come trampolino di lancio per l'uscita estiva di alcune produzioni horror locali, ad esempio l'anno scorso Bunshinsaba di Anh Byung-ki (il regista di Phone), nonché come propulsore all'attenzione intra-asiatica o internazionale di titoli coreani in concorso, come i vincitori delle due ultime edizioni, Save the Green Planet! di Jang Jun-hwan, che era stato un devastante fiasco al momento dell'uscita coreana, ma che s'è redento nella sua vita festivaliera post-PiFan, e Arahan di Ryoo Seung-wan. Quest'anno il PiFan s'è visto negare i film locali, mentre il RealFan per risorse e richiamo promozionale ridotto non poteva costituirsi come adeguato succedaneo. Al PiFan quindi a rubare la vetrina sono state le produzioni giapponesi, come il bel film a episodi Female, sull'erotismo al femminile (ispirazione da racconti o manga di autrici donne), firmato da Shinohara Tetsuo, Hiroki Ryuichi, Suzuki Matsuo, Nishikawa Miwa e Tsukamoto Shin'ya, o quelle thai, come l'horror The Lizard Woman di Manop Udomdej. Sarà quindi interessante vedere quali saranno le evoluzioni per l'anno prossimo, poiché un reiterarsi dello scontro tra festival non giova a nessuno, ed in primis all'industria cinematografica coreana.

In conclusione, registriamo la lista dei premiati al PiFan, dove la giuria, comprendente tra gli altri i registi Brian Yuzna e Park Chul-soo, ha assegnato primo premio, Best of Puchon, al canadese low budget The Dark Hours di Paul Fox, dove la famiglia di una psichiatra è assediata in un cottage isolato e costretta ad un gioco al massacro da un ex paziente della donna. Il Premio della Giuria è invece andato al belga Nuit Noire di Olivier Smolders, viaggio visionario nella psiche d'un entomologo, il premio per il miglior attore al cast maschile di Rathree: Returns, seguito del fortunato horror-comedy del thai Yuthlert Sippapak, mentre quello all'attrice è stato diviso tra Kate Greenhouse di Dark Hours e l'ungherese Orsi Toth per la sua performance nel film opera di Kornél Mundruczó Johanna, iconoclasta nuova versione di Giovanna d'Arco in cui la Pulzella d'Orléans è convertita in tossicomane che redime i malati d'un ospedale tramite il sesso già vista al Certain Regard di Cannes 2005. Se il Premio del Pubblico è andato all'esotico viaggio in India di Hari Om di Bharatbala Ganapathy, vale la pena di segnalare il recipiente del premio per la miglior regia, Unconscious di Joaquín Oristrell, coproduzione paneuropea Spagna/Germania/Portogallo/Italia che vede coinvolti Paulo Branco, Gerardo Herrero e il nostro Amedeo Pagani per una sapida pochade nella Barcellona degli anni '30 che mescola intreccio alla Sherlock Holmes, prime affermazioni del cinema, numerose, sbandierate citazioni letterarie e soprattutto il propagarsi delle teorie freudiane (il film è suddiviso in capitoletti tipo Totem e Tabù…). Il finale è uno sfortunato e contraddittorio (inconscio?) ritorno allo status quo patriarcale con omosessuale incestuoso e padre degenere schiacciati dal crollo di un lampadario, moglie prima frigida, invero lesbica, che se ne va a Parigi con la compagna a posare per Modigliani (???), e tradizionale coppia etero ristabilita all'insegna d'amor vero e procreazione (e di un'adombrata, imbarazzante, esaltazione del machismo, visto che il protagonista pare dotato di virilità fuori misura), ma il divertimento che il film dispensa è gradevole e assai meno offensivo di gran parte delle commedie USA o prodotte localmente che circolano sugli schermi europei.

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