Film come case

La vostra storia è tutta là anche se vi vergognate a pensare una cosa simile. Siete persi, completamente risucchiati in una drammatica strutturazione dei sentimenti. Vi sentite addirittura offesi dalla volgarità nella quale vi trovate invis

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Esistono film, storie nelle quali ci piacerebbe abitare, vivere. Rispondono a bisogni primordiali, evidentemente. Come le fiabe, creano attorno a noi un mondo comodo, integrato, stabile, con pochissimi squilibri, gli stessi che sperimentiamo su di un otto volante: squilibri che sappiamo di poter superare, squilibri che ci rendono vulnerabili per un attimo, che ci fanno perdere e ci rendono felici. Non aspettatevi grandi emozioni, testi definitivamente profondi, che accarezzano zone insospettate della nostra anima o del nostro cuore. Sono, invece, testi semplicissimi, magari decisi a tavolino, con dei ritmi ben precisi da tenere, con situazioni sicure per risposta, con personaggi già visti. E Il tempo delle mele (massì, compreso il seguito ma fuori la terza puntata davvero insopportabile). Però, magari, fa da pendant I quattrocento colpi. Sono quei film che vedete e rivedete senza stancarvi, che vi convincono che la vostra vita vera non è quella che vivete ogni giorno, fra le carte dell’ufficio o le code agli sportelli, bensì quella, all’interno della messa in scena che ha ricostruito, ancora una volta, un mondo accettabile e felice.
Si sovrappongono, quasi appartenessero allo stesso set, lo sguardo perduto di Antoine Doinel ai baci appena accennati di Sophie Marceau. La strada che conoscete congiunge il mare che bagna i piedi a Jean Pierre-Léaud alla casa di Vic, in pieno centro parigino. Si confondono personaggi ed interpreti nel nostro immaginifico mondo e voi continuate ad aspettare che il papà e la mamma veramente finiscano col rincontrarsi da Corinto, il ristorante italiano del Tempo delle mele. La vostra storia è tutta là anche se vi vergognate a pensare una cosa simile. Siete persi, completamente risucchiati in una drammatica strutturazione dei sentimenti. Vi sentite addirittura offesi dalla volgarità nella quale vi trovate invischiati: esibite amori per tutt’altro tipo di testi. Siete spiazzati da voi stessi: non ammettereste mai di esservi, ancora una volta, innamorati della tenera ragazzina, figlia di un dentista e di una disegnatrice è la parte razionale, politica, sociale, culturale che vi impedisce simili affermazioni. Solo che le state praticando: state andando in piazza a spiattellare i vizi privati che andrebbero abilmente e facilmente nascosti. Vi salva giusto la possibilità di tirarvi dietro Truffaut e tutta la nouvelle vague anche se, questa cosa qui, non la fate apposta. Guardate e riguardate sempre gli stessi film. La vostra vita sembra essersi bloccata a quel periodo lì. Siete prigionieri di una penosa nostalgia. Eppure siete stranamente felici: quando riaprite gli occhi vi trovate sulla nave che porta Ulisse verso le Colonne d’Ercole e nessuno vi vieta di sognare sempre la stessa storia se la vostra mente corre avanti, se la vita vi risucchia, se il gorgo del Maelstrom vi sta inghiottendo. State andando avanti, di corsa e con brio. Vi portate dentro solo questa nostalgia che accarezzate piano, un dolore leggero e dolce, il vostro dentino che presto cadrà e che spingete con la lingua la nostalgia. Oggi avete un ponte ed un dente che vi duole: spingete quello. Va bene lo stesso. State andando avanti: la realtà è il mare aperto al quale non rinunciate.

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