FILM IN TV – "Almanacco d'autunno", di Béla Tarr
Non vediamo l’apocalisse ma l’inferno è già visibile, dentro i personaggi, corpi pesanti, difficili da attraversare poiché coperti dalla barriera delle parole, con cui ognuno persegue la propria morale isolandosi dagli altri. Per ora non si può far altro che girarci intorno, osservarli nella loro apatica autodistruzione, in attesa del silenzio. Venerdì 1° novembre, ore 2.00, Rai 3
È spontaneo domandarsi se la decisione di Tarr, dopo questo Almanacco d’autunno, di girare solo in bianco e nero sia dovuto alla maestria nell’utilizzo del colore, qui come esaurito per la prima e unica volta. Forse il suo unico film veramente a colori appunto, vista l’aridità cromatica del precedente L’outsider.
Tonalità accese e violente, quasi in conflitto all’interno di una stessa inquadratura, scavate nei volti che animano questo strano kammerspiel lontano eppure sempre più vicino allo stile che Tarr adotterà dal successivo Perdizione. Nonostante l’abbondanza visiva che riempie lo schermo con insolita varietà, il risultato più avvertibile è quello di un’assenza di temperatura. Tarr si occupa di persone già morte che cercano di convincersi di essere ancora in vita. È qui che la camera inizia a esplorare lo spazio, a diffidare delle parole dei personaggi, soffermandosi sul loro viso per poi distaccarsene e cercare l’angolo più oscuro nella stanza per trovare conforto nel buio. Non vi è più la fissità delle riprese precedenti, ma ha inizio quella circolarità dello sguardo impietoso che porta alla messa a nudo dei personaggi nella loro fragilità, osservati da ogni angolazione possibile. È anche questa resa dei corpi allo sguardo che rende ogni dialogo presente nel film più ravvicinabile a una confessione detta a bassa voce. Il film si apre con una citazione di Puškin: “Anche se sei tu a guidarmi / questa terra mi è ignota / è il diavolo probabilmente a guidarci / che gira e gira in cerchio” Mihály Vig, che contribuisce all’alienazione del film con stridenti composizioni per pianoforte che non si incastrano con l’atmosfera e le scene del film, non le accompagnano ma piuttosto vi si sovrappongono, come a formare delle escrescenze per questo ancor più visibili.
Non vediamo l’apocalisse perché non usciamo mai dalle scure stanze in cui si svolge tutto il film, ma l’inferno è già visibile, dentro i personaggi. Ma essi sono ancora corpi pesanti, difficili da attraversare poiché coperti alla barriera delle parole, con cui ognuno persegue la propria morale isolandosi dagli altri. Per ora non si può far altro che girarci intorno, osservarli nella loro apatica autodistruzione, in attesa del silenzio.
Titolo originale: Öszi almanach
Regia: Béla Tarr
Interpreti: Hédi Temessy, Erika Bodnár, Miklós Székely B., Pál Hetényi, János Derzsi
Origine: Ungheria, 1984
Durata: 119'