FILM IN TV – Drugstore Cowboy, di Gus Van Sant

Prende come riferimento il libro autobiografico di James Fogle e disegna un canto ironico-surreale di fuga dalla vita, un poema lirico sull’odissea di quattro giovani. Venerdì 4, h 00.45, Sky Cult

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Ho imparato l’equazione della droga. La droga non è, come l’alcol o come la marijuana, un mezzo per intensificare il godimento della vita. La droga non è euforia. E’ un modo di vivere…”

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William S. Burroughs, La scimmia sulla schiena

La droga come modus vivendi, unica via di uscita rispetto a un sistema che impone stili, mode e opinioni. La seconda prova di Gus van Sant prende come riferimento il libro autobiografico di James Fogle e lo arricchisce delle filosofie e dei cut-ups di William Burroughs. Rispetto alla opera prima sperimentale Mala Noche (1985), Van Sant imbastisce una linea narrativa più solida e si affida alla ottima performance attoriale di Matt Dillon che, nei panni del giovane Bob Hughes, disegna un lungo flashback circolare di pensieri, parole, opere e omissioni intorno alla tossicodipendenza. Rispetto al realismo di film come Christiane F. e Amore tossico, Drugstore Cowboy è più un canto ironico-surreale di fuga dalla vita, un poema lirico sull’odissea di quattro giovani che all’inizio degli anni 70 hanno deciso di rompere con l’autorità. Sulle note malinconiche di For All We Know di Abbey Lincoln, in inserti simil-documentaristici che rimandano agli home-movies, Bob Hughes ricorda frammenti di un passato felice: l’incontro con la moglie Dianne appassionata lettrice di Love Story (Kelly Lynch), l’amicizia con la coppia formata da Nadine (Heather Graham) e Rick (James LeGros) complici di funamboliche rapine a drugstore ed ospedali. Alla voce narrante di Bob, incessante flusso di coscienza che si trasforma in atto di dolore, si accompagnano le immagini dei trip onirico-psichedelici. Ci sono spesso close-up su siringhe, pillole, aghi, vene, cucchiaini, cappelli Magrittiani che fluttuano nell’aria, in un montaggio serrato che preannuncia i postmodernismi di Trainspotting e Requiem for a Dream.

drugstore-cowboy-matt-dillon-william-burroughsA momenti irresistibili con i tempi da perfetta gag comica (la prima rapina al drugstore, le superstizioni e i litigi delle due coppie) si succedono vicende tragiche (la morte per overdose inquadrata in tutto il suo orrore, il ferimento di Bob in una nemesi ripresa da Brian De Palma nel suo Carlito’s Way) che determinano una svolta nel percorso di svezzamento e redenzione. Nessun giudizio morale, nessuna pretesa di naturalismo o verismo. E’ difficile distinguere nei primi piani ravvicinati dei visi, il tormento dall’estasi, l’orgasmo dal martirio. Non è l’amore a redimere, ma la morte. A Van Sant interessa soprattutto il rapporto causa/effetto: tutte le azioni di Bob/Matt Dillon sono compresse in un circolo vizioso che si autoalimenta nell’ incontro/scontro con le figure di autorità. La madre (Grace Zabriskie) lo caccia fuori di casa, il poliziotto Gentry (James Remar) lo bracca per inchiodarlo alle sue responsabilità e il sacerdote tossicomane Tom (William S. Burroughs) lo tenta con le sue filosofie sulla oppiofobia come strumento di repressione reazionaria. A questo si aggiunge una perdita di identità sessuale che è la causa prima del nomadismo e della irrequietezza di tutti gli adolescenti di Van Sant, ribelli senza una causa e senza un chiaro oggetto del desiderio.

drugstore-cowboy-kelly-lynch-matt-damonDrugstore Cowboy diventa così esempio raro di cinema che partendo da un tema particolare (la dipendenza dalla droga) si allarga ad abbracciare i temi universali della solitudine e della ricerca del sé. Non resta che guardarsi allo specchio e riconoscere il proprio volto insanguinato, in questa via crucis senza stazioni di servizio: sulle note di The Israelites di Desmond Dekker si ritorna al punto di partenza con la consapevolezza della propria diversità. Le nuvole nel cielo di Portland passano sempre più rapide e gli anni 70 scorrono via come granelli di clessidra troppo veloci. La sirena dell’ambulanza copre ogni altra musica, memorie di tempi felici rendono meno sofferta l’agonia: forse anche questa è una via d’uscita, un altro modo di fermarsi.

Titolo originale: id.

Regia: Gus Van Sant

Interpreti: Matt Dillon, Kelly Lybch, James Remar, William Burroughs, Heather Graham, James Legros, Grace Zabriskie

Durata: 99′

Origine: Usa 1989

Venerdì 4 novembre, ore 00.45, Sky Cult

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