"Fire with Fire", di David Barrett
Aldilà dei pesanti limiti, restano dei segni da amare. Quest'invisibilità assassina, che si muove tra le pieghe del sistema, negli angoli bui non raggiunti dal controllo dei poteri, che nelle mani, per dire, di un Fuqua, avrebbe raggiunto un'altra consapevolezza politica ed eversiva. La bellezza intima di un uomo che uccide per amore e combatte contro le proprie resistenze. E la percezione definitiva di come il ricambio generazionale dell'action sia ormai irreversibile
Il brillante Jeremy Coleman è un vigile del fuoco per vocazione, dopo aver perso i genitori da bambino in un incendio. Per lui, la squadra è l'unica famiglia da amare e difendere. Ma le cose cambiano improvvisamente, quando una notte si ritrova coinvolto in un duplice efferato omicidio del boss David Hagan, fanatico razzista, risoluto a far la festa alle gang nere di Long Beach. Jeremy riesce a cavarsela e rimane l'unico testimone che può incastrare il folle, sulle cui tracce si muove da anni il caparbio tenente Mike Cella. Il ragazzo decide di testimoniare, nonostante le aperte minacce di Hagan. Scattano così le misure protezione: Jeremy cambia identità e città e incontra l'amore della sua vita. Ma non basta. Non gli resta che risolvere da solo la situazione: da preda si trasforma in cacciatore.
Va bene, non giriamoci troppo intorno: Fire with Fire è un film che non funziona. Se volessimo fare il pelo e il contropelo alla sceneggiatura imbastita da Tom O'Connor, davvero troveremmo troppi salti nel vuoto, sgranature, risvolti mancati, bui ed ellissi, che, più che un richiamo alla necessaria "assenza" di questo fantasma inafferrabile, sono i segni una vera e propria incoerenza. La progressione drammatica s'inceppa, procede a scossoni improvvisi, dà per scontate troppe cose, aggirando qualsiasi ostacolo di ordine logico e non. Perché Hagan, mostro luciferino incarnato dall'ormai sublime (e perdonate l'ossimoro) Vincent D'Onofrio, sembra fermarsi, rinunciare a dar caccia spietata al suo accusatore, per risolvere le cose a telefono?
Ma, se è vero, come è vero che in principio non è il Verbo, ma l'Azione, l'action, il problema ovviamente, non può essere la storia, il puro e semplice tessuto narrativo. Il problema semmai è che David Barrett, nonostante il passato da stuntman, non è una regista da salti mortali, non ha né la stoffa né la lucidità di oltrepassare i limiti dello script, per lavorare su un tono, un sentimento, un'immagine politica o morale. Nonostante indovini una scena di notevole impatto visivo, come quella splendida pioggia "in interni" dell'incontro con l'avvocato senza scrupoli Arold Gethers, la sua esperienza televisiva gli suggerisce di non scostarsi troppo da un'onesta regia di servizio, che mostra la corda, tra l'altro, proprio nella scene di maggior tensione action, come l'imboscata nel motel o il finale incendiario.
Epperò, aldilà di tutti i limiti, restano dei segni da amare. Quest'invisibilità assassina, che si muove tra le pieghe del sistema, negli angoli bui non raggiunti dal controllo dei poteri, che nelle mani, per dire, di un Fuqua, avrebbe raggiunto un'altra consapevolezza politica ed eversiva. La bellezza intima di un uomo che uccide per amore e combatte contro le proprie resistenze. E la percezione definitiva di come il ricambio generazionale dell'action sia ormai irreversibile. Bruce Willis, che ancora nell'ultimo Die Hard ci andava giù duro, cede l'iniziativa a Josh Duhamel e rinuncia a qualsiasi tipo di azione. Comprende tutto e lascia che il destino compia il suo corso, con la consapevolezza di uno che la sa lunga su come vadano a finire queste storie, tra riscatti disperati e set mandati all'aria. Bruce guarda il film passare e ci dice che un'epoca è finita. A meno che, sembra confessare il suo sorriso, il gioco non si faccia davvero duro.
Titolo originale: Id.
Regia: David Barrett
Interpreti: Josh Duhamel, Bruce Willis, Rosario Dawson, Vincent D'Onofrio, 50 Cent, Julian McMahon, Vinnie Jones, Bonnie Somerville, Eric Winter
Origine: USA, 2012
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 97'