Hoffmaniada. Intervista a Stanislav Sokolov

Abbiamo incontrato il grande animatore russo a Roma, per farci raccontare l’incredibile lavorazione del suo nuovo film a passo-uno, tratto dai racconti di E.T.A. Hoffmann

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E’ stato presentato come un miracolo Hoffmaniada e, a ben guardare, un prodigio lo è sotto diversi punti di vista. Il film, che è una Summa Animatica di tutto quello che è stato e può essere il cinema con pupazzi a passo–uno, segna il ritorno alla produzione del mitico studio di animazione russo Soyuzmultfilm. Autentico scrigno di animatori e scenaristi, lo studio che una volta era definito “Disney Sovietica” – dopo le difficoltà seguite alla caduta dell’Urss – con Hoffmaniada inizia una nuova vita portando a compimento questo ambizioso quanto travagliato progetto di tradurre il mondo fantastico dello scrittore prussiano E.T.A. Hoffmann (1776-1882) in un cartone animato con pupazzi in stop-motion. Al cuore della storia c’è uno scrittore che viene risucchiato nel suo stesso libro e tenta di fuggire dal mondo che lui ha creato. Un gioco di specchi infinito, in cui lo spettatore dimentica il prodigio tecnico dei pupazzi che si muovono con naturalezza, e resta catturato in una dimensione narrativa di fascino rarefatto che affonda le radici nello stupore dell’infanzia.

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Dietro la macchina da presa c’è il regista Stanislav Sokolov, nome blasonato dell’animazione, riconosciuto internazionalmente. Formatosi con Ivan Ivanov-Vano, una delle leggende dell’animazione sovietica, Sokolov negli anni ‘80 ha portato l’arte dell’animazione con i pupazzi alle vette più alte. Grazie alla sua abilità nel rendere realistici i movimenti di personaggi grotteschi, l’approccio di Sokolov, caratterizzato da complesse strutture di animazione, è ben visibile in Black and White Film (1985) e in The Big Underground Ball (1987). Non a caso, gli inglesi della BBC si sono affidati a lui per le trasposizioni shakespeariane, rigorosamente a passo–uno, della Tempesta (1992) e di Racconto d’inverno (1994) per cui Sokolov vinse l’Emmy. E nel 2000 la Icon di Mel Gibson volle acquistare per il suo catalogo The Miracle Maker, in cui il regista russo ha realizzato un originale vangelo in stop motion. Attualmente, Sokolov dirige il dipartimento di Animazione e computer grafica del VGIK di Mosca, la più antica università cinematografica del mondo
In questi giorni Sokolov è a Roma per accompagnare Hoffmaniada, già presentato alla Berlinale e a Cannes, nonché in festival di mezzo mondo. Lo incontriamo dopo la proiezione alla Casa del Cinema di Roma.

Finalmente Hoffmaniada, un film a lungo atteso, che ha avuto una vita produttiva molto complessa, lunga oltre un decennio…
Se facciamo partire il conto dalla prima volta che ho provato a fare un film dai racconti di Hoffmann, allora il conteggio aumenta vertiginosamente. Pensa che a metà degli anni ‘70 ho provato più volte a presentare il progetto al Goskino (Comitato Statale della cinematografia dell’URSS), ma nonostante la censura nell’animazione fosse molto ridotta in confronto al resto del cinema e ai documentari e noi animatori ci sentissimo un po’ più liberi degli altri registi, ho comunque sempre ricevuto risposte negative. I racconti di Hoffmann erano considerati troppo spaventosi per i bambini e troppo mistici per gli adulti. In pratica, nei racconti di Hoffmann cercavano delle allusioni nascoste. Forse allora la censura preventiva vedeva cose di cui io nemmeno mi rendevo conto. Merito di Hoffmann che nei suoi racconti ritrae personaggi grotteschi in cui è facile identificare i caratteri umani, come maschere. Chissà chi riconoscevano…

La produzione vera e propria di Hoffmaniada quando è iniziata?
Siamo partiti nel 2001. E.T.A. Hoffman ha creato le anime dei personaggi. L’artista Mihail Chemiakin ha progettato i loro corpi. Io con il mio gruppo li ho portati alla vita. Inizialmente, abbiamo realizzato un pilota di 20 minuti, girato su pellicola… poi abbiamo avuto diverse interruzioni, come si può immaginare, essendo il più grande progetto a cui lo studio Soyuzmultfilm si è dedicata dal crollo dell’Unione Sovietica. Ci si è dovuti attivare per i finanziamenti. E’ stato un lavoro di passione, realizzato da un bel gruppo, che ha avuto una lunga gestazione… di 12 anni. Alla fine, il formato digitale è stata una scelta obbligata. Tutto questo periodo di progettazione ed elaborazione si è trasformato in un processo di continua riflessione sull’utilizzo del mezzo per adattare la tradizione del passo–uno alla tecnologia digitale di ripresa.

Perché E.T.A. Hoffmann e non Puskin, o un altro scrittore russo?


Non c’è da stupirsi, Hoffmann è una figura di riferimento per molti artisti nel mondo russo, basti dire che ha scritto la storia che ha ispirato Lo schiaccianoci. E’ considerato una specie di primogenitore, che ha esercitato una grande influenza su autori come Gogol, Dostoevskij e Puskin, con la sua Dama di picche. Ricordiamo che Hoffmann è un figlio del romanticismo, che candidamente avverte i suoi lettori di non avere certezze da comunicargli. Io vedo E. T. A. Hoffmann come un surrealista ante litteram che, con semplicità e leggerezza, crea personaggi di cui sa rivelare paure e desideri nascosti… materia viva per un regista.

Il film lega la vita di Hoffmann a tre racconti…
Sì, sono racconti che con la loro dimensione gotica mi hanno colpito fin da quando ero bambino: La pentola d’oro, L’uomo della sabbia e Il piccolo Zaccheo. Ho cercato di catturarne la profondità dello sguardo sul mondo e le inattese svolte delle loro trame. Dopo aver letto i diari di Hoffmann ho capito che, confrontando attentamente gli eventi della sua vita con le vicende dei suoi racconti, potevo trovare la fonte delle sue fantasie.

Trasformandolo in una sorta di Kafka romantico…
(ride) Attenzione, è Kafka ad essere un E.T.A. Hoffmann del Novecento. Sicuramente tra i due ci sono molti punti in comune, e Kafka ne è stato influenzato. Quello che fa il film, è trasformare E.T.A. Hoffmann in personaggio, alle prese con la dualità tra l’universo immaginativo dei suoi scritti e la professione della sua vita reale, da impiegato statale. Lo sviluppo della vicenda lo porta dentro situazioni surreali finendo per mostrare le mille sfaccettature della sua personalità.

Ho notato che quando vede i pupazzi fuori dal set li indica per nome, ricorda il loro curriculum, ne parla come se fossero attori in carne ed ossa…
Amo tutti i pupazzi e conosco la storia di ognuno di loro, perché il pupazzo nasce in base alla sceneggiatura. Nonostante l’apparato digitale, questi pupazzi vengono ancora attentamente creati a mano. Quando punti la macchina da presa verso di loro, si possono vedere i pulviscoli di polvere oppure i graffi sulla loro superficie: il pupazzo è un oggetto reale, non una forma superlucida generata da un computer. Nel caso di Hoffmaniada poi, visto che il progetto è iniziato nel 2001, puoi immaginare quanto tempo ho passato con loro. Ogni pupazzo è un sapere completo, è un frutto di lunghe discussioni sulla sceneggiatura. All’inizio, quando sono ancora nudi, anzi quando c’è ancora solo la struttura metallica, già allora comincio ad affezionarmi. Una volta vestiti diventano il centro di lavoro di tantissime persone. Ogni disegnatore, la costumista, l’animatore, il regista… ognuno dona a ciascun pupazzo una parte del proprio animo… altrimenti sarebbe impossibile farli vivere.

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