Il migliore dei mondi, di Marcello Macchia, Danilo Carlani e Alessio Dogana

Capatonda sveste le maschere eccentriche del passato, e ragiona con grande ironia sui rapporti di dipendenza tra l’uomo e la tecnologia. Sul finale però scade fin troppo nell’eccesso. Su Prime Video

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Nel momento in cui Ennio (Maccio Capatonda) viene inquadrato per la prima volta, ci sembra sapere già tutto del personaggio: è in discoteca, ma appare come un’anomalia; non balla con nessuno, rifiuta le pasticche che il fratello (Pietro Sermonti) gli chiede ripetutamente di assumere, e niente cattura la sua attenzione all’infuori del cellulare che tiene in mano. Sin dall’incipit Il migliore dei mondi stabilisce una connessione quasi ossessiva tra l’uomo e lo schermo dello smartphone, come se il suo mondo e la sua intera sfera di interessi si originassero proprio a partire dal dispositivo. Il cellulare – ma potremmo dire la tecnologia digitale – è perciò l’estensione della personalità stessa di Ennio, lo strumento con cui si approccia al mondo, e attraverso il quale si autodefinisce. Almeno fino a che la società in cui vive continua a dipendere dalle mediazioni tecnologiche.

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Per un uomo come Ennio che usa l’intelligenza artificiale anche solo per prepararsi un caffè, un mondo privo di innovazioni digitali equivarrebbe ad una realtà infernale, impossibile da abitare – quando non addirittura da comprendere. Ecco allora che la Roma “alternativa” in stile anni ’90 in cui si ritrova improvvisamente catapultato per mezzo di un cortocircuito causato da un modem obsoleto è per il protagonista la materializzazione del suo più grande incubo, proprio perché lo priva di qualsiasi sicurezza: nel lavoro (è un tecnico informatico) così come nella vita quotidiana. Ed è proprio a partire da questa alterazione temporale che Il migliore dei mondi arriva a ragionare sulla nostra realtà. Perché lo stato di disagio in cui versa Ennio non è nient’altro che lo specchio dei pericoli in cui la società odierna rischia di incorrere nel momento in cui rimane anestetizzata dalla tecnologia.

L’allegoria diventa allora il mezzo con cui Il migliore dei mondi indaga i fenomeni relativi alla dipendenza dell’uomo/utente dai dispositivi di comunicazione digitale. In questa realtà propriamente “analogica” Ennio deve infatti ripristinare tutte le sue coordinate, fino a ri-orientarsi in un mondo che sembra rigettare ogni suo anelito al progresso. E seppur il film ammonisca sulle conseguenze relative ad una eccessiva esposizione al digitale, non perde al tempo stesso l’occasione di esaltare (per contrasto) i benefici delle conquiste tecnologiche attraverso la presentazione di una società “distopica”, caduta nella disperazione proprio perché allergica a tutto ciò che le consentirebbe di progredire – e quindi di evolversi.

Se per due terzi di racconto Il migliore dei mondi riesce a ragionare – anche oculatamente – su alcune problematiche intestine alla nostra società, nel terzo atto tutto questo sembra crollare. Qui non solo il film si apre ad un registro narrativo eccessivamente iperbolico, ma estremizza fin troppo le istanze proposte, al punto da perdere la lucidità con cui le aveva fino a quel momento indagate. Peccato. Perché con un po’ di equilibrio in più avrebbe potuto rappresentare non solo una bella eccezione nella parabola autoriale di Maccio Capatonda, ma anche nel panorama del cinema italiano di genere.

Regia: Marcello Macchia, Danilo Carlani, Alessio Dogana
Interpreti: Maccio Capatonda, Pietro Sermonti, Martina Gatti, Luca Vecchi, Stefania Blandeburgo
Distribuzione: Amazon Prime Video
Durata: 100′
Origine: Italia, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
3.17 (6 voti)
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