"Il mio film come una sirena sulla roccia" incontro con Jacques Audiard

Incontro con Jacques Audiard Un sapore di ruggine e ossa
Jacques Audiard, in sala il 4 ottobre con il suo Un sapore di ruggine e ossa, non ha l'aria di un regista ma somiglia più a un produttore musicale, un Moby o un Brian Eno, salvo poi tirare fuori una pipa come fosse Maigret. Come il suo look anche il suo cinema sembra vivere delle stesse contraddizioni, di un approccio anti intellettuale e invece molto materico, fisico, che lo rende a tutt'oggi il più americano dei registi francesi.

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Incontro con Jacques Audiard Un sapore di ruggine e ossaJacques Audiard ci accoglie in un'elegante sala di Palazzo Torlonia. Ragionando per stereotipi si potrebbe dire che non ha l'aria di un regista ma somiglia più a un produttore musicale, un Moby o un Brian Eno, salvo poi tirare fuori una pipa come fosse Maigret.
Come il suo look anche il suo cinema sembra vivere delle stesse contraddizioni, di un approccio anti intellettuale e invece molto materico, fisico, che lo rende a tutt'oggi il più americano dei registi francesi.

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Il suo ultimo film De rouille et d'os, Un sapore di ruggine e ossa, uscirà in Italia il 4 ottobre, distribuito dalla Bim.
Disponibile a lasciarsi trasportare dalle suggestioni di chi gli sta davanti ha raccontato come ciò che lo interessa di più sia l'erotismo sprigionato sullo schermo da un corpo mutilato  e la capacità dei suoi personaggi di rivelarsi attraverso l'amore…


Ruggine e ossa è tratto da una raccolta di racconti dello scrittore canadese Craig Davidson. Che tipo di lavoro ha fatto sul testo di partenza?

Dopo Il Profeta, un film tutto al maschile, che viveva degli spazi chiusi e claustrofobici della prigione, avevo soprattutto voglia di raccontare un personaggio femminile e una storia d'amore. E sono incappato nella raccolta di Davidson che pur non essendo nulla di tutto ciò, mi ha aiutato a trovare uno sfondo, un paesaggio su cui creare la mia storia.
Ho fatto dei cambiamenti, perché uno dei racconti era ambientato in questo parco acquatico, Marinland, ma era un ragazzo a perdere una gamba, io ho declinato la vicenda al femminile facendo sì che fosse la donna a rimanere mutilata e di entrambi gli arti.
In sostanza ho messo una storia d'amore lì dove non ce n'era traccia. E alla fine lo stesso Davidson, che ha visto il film soltanto poche settimane fa al festival di Toronto, ha detto che è come se avessi scritto la novella mancante della sua raccolta.

In effetti sembra quasi che nell'adattare un testo o dirigere un remake lei conosca i personaggi meglio delle opere originali…

Tutti i battiti del mio cuore era un remake di Fingers (Rapsodia per un killer) di James Toback, un film che amo molto ma che tuttavia mi sembrava mancasse di qualcosa. Credo che quando si fa un adattamento – di qualunque natura sia – rientri nei doveri dell'adattatore colmare quella mancanza, aggiungere ciò che nell'opera di partenza non era detto con sufficiente forza.

 

Il momento della scrittura sembra fondamentale nei suoi film che sono sempre molto strutturati, molto sceneggiati anche se a un primo sguardo non si direbbe, perché la messa in scena è molto fisica, concentrata sulla materialità dei corpi attoriali. Anche Ruggine e ossa solo a una seconda visione rivela una presenza forte della struttura narrativa non  facile da notare la prima volta. In che modo coniuga questi due aspetti opposti?

È molto vero, quando lavoravamo alla sceneggiatura il nostro interesse era proprio quello di creare un film molto scritto ma che non desse mai l'impressione di esserlo. Volevamo che, diversamente da quanto accadeva in Sulle mie labbra, dove il senso di predestinazione del noir imponeva che tutto fosse predeterminato, che lo spettatore sapesse già cosa sarebbe successo di lì a poco, qui non si potesse mai immaginare cosa sarebbe accaduto nella scena successiva. Che tutto fosse imprevedibile, come nella vita.
Lo sforzo costante da parte nostra è stato calibrare il ritmo del film, capire quando frenare o accelerare; se stilizzare o essere realistici, se chiedere agli attori un certo iperrealismo oppure no. Tutto questo senza mai mostrare i raccordi o i punti di giunzione dando così l'impressione di una libertà estrema.
 

Restando sul modo di filmare i personaggi, anche in Ruggine e ossa ci sono immagini forti, ma rispetto alla violenza di alcuni momenti de Il profeta qui c'è quasi una "brutalità delicata"…

Il libro di Davidson raccontava la barbarie dopo la crisi, la lotta per la sopravvivenza di individui ormai spossessati di qualunque cosa, eccetto il proprio corpo. A me interessava prendere questo aspetto applicandolo però a una novità nel mio cinema, ossia filmare il volto e il corpo di una donna. L'obiettivo del film era arrivare con una semplificazione quasi estrema a raccontare la capacità di due persone di rivelarsi attraverso l'amore, e attraverso i corpi.
 

Infatti si ha l'impressione che tutto il film si condensi nella scena in cui i personaggi sono uno sull'altra…

La scena dell'amplesso in sceneggiatura era descritta come "una sirena su una roccia". Non sapevo come sarebbe stata una volta messa in scena. Sapevo solo che sarebbe stata bella. E che lei avrebbe avuto quel tatuaggio. Non mi importava cosa ci sarebbe stato scritto ma il solo fatto che incidesse qualcosa sulla sua pelle, prendendo coscienza di sé e del suo corpo mutilato, abbracciando una nuova vita.
La ricerca del dettaglio è tutto: c'è un libro sulla pittura del Quattrocento che si chiama La peinture dans le detail che spiega come sia vitale, perché è l'elemento che restituisce la verosimiglianza. In quella scena d'amore il dettaglio è il tatuaggio.
 

Come mai dalla sordità di Sulle mie labbra in poi lei è così attratto dai difetti, dalle mancanze fisiche (ma anche sociali)?

Sembrerà assurdo ma mi sono accorto solo al montaggio delle analogie evidenti di Ruggine e ossa con Sulle mie labbra. In realtà non so bene perché amo filmare questi difetti ma credo che la mancanza di un corpo mutilato mi interessi per il grado di erotismo che riesce a emanare sullo schermo.
Nel trasporre i racconti di Davidson ho percepito il valore erotico che la mutilazione avrebbe avuto su un corpo femminile, forse perché sono un vecchio feticista!
Ma in generale, credo che ciò che veramente accomuni tutti i miei personaggi sia una mancanza d'amore.
 

Infine, Marion Cotillard. Che grazie a un'interpretazione straordinaria contribuisce in gran parte alla riuscita del film. La parte era già pensata per lei?

No, non penso mai in fase di scrittura agli interpreti dei film. Ma appena terminata la sceneggiatura ho trovato che fosse perfetta per il ruolo. Non ho seguito molto bene la sua filmografia ma mi aveva colpito in La Môme (La vie en rose) e avevo voglia di lavorare con lei. Ha un volto che mi ricorda le attrici del muto e un'aria che non è mai fragile o delicata. Trovo che sia un'attrice che unisce ad un'immagine femminile anche un'intensa virilità.

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