Il ritorno dei blink-182, la generazione Mtv e il pop punk

I blink-182 pubblicano “One More Time…” e riportano il pop punk in vetta alle classifiche. Ma che cosa ne è stato dell’intero movimento e del loro patrono Mtv?

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Sfogliando le riviste specialistiche del settore musicale, qualsiasi lettore potrebbe stupirsi leggendo la Billboard 200 (la classifica con gli album più venduti della settimana). Sicuramente ci sarà un errore, non è possibile che nel 2023 in cima ci siano i blink-182. E invece non c’è alcuno sbaglio, nessun refuso, la classifica è quella attuale. La band pop-punk californiana per eccellenza è tornata e, trainata da una campagna marketing improntata sulla nostalgia, ha pubblicato One More Time…, il primo album con la formazione originale (Tom DeLonge, Mark Hoppus e Travis Barker) dal 2011, dopo che per qualche anno Matt Skiba aveva rimpiazzato lo stesso DeLonge. Ma cosa ha reso possibile questo ritorno all’apice del gruppo (con un album peraltro non proprio eccelso in termini di qualità) e di un genere che aveva fortemente caratterizzato il passaggio dal secolo scorso a quello nuovo? E soprattutto, durerà anche senza la possibilità di contare su chi era alla base della loro fortuna, ovvero il colosso Mtv?

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Diventa necessario fare un passo indietro, a Video Killed the Radio Star, dei The Buggles (una band di cui ha fatto parte insospettabilmente anche Hans Zimmer). Si tratta forse di una delle canzoni più iconiche degli anni ‘80, una di quelle che chiunque sarebbe in grado di riconoscere, anche chi è nato ben dopo l’uscita del brano. Ancor più significativamente però è un grido di battaglia lanciato da quello che si sarebbe rivelato il più grande colosso del mondo della musica per i decenni successivi. Il 1° agosto 1981 andava infatti in onda per la prima volta Mtv, che inaugurava le proprie trasmissioni proprio con Video Killed the Radio Star. La tv ha ucciso la stella della radio. E così fu.

Solo qualche anno dopo, nel 1985, Bret Easton Ellis pubblicava Meno di zero a soli 21 anni, il manifesto della cosiddetta Mtv generation, la prima generazione del 900 ad essere nata senza guerre sullo sfondo, in un periodo di apparentemente inscalfibile privilegio economico. Quella generazione che, come raccontato da Ellis, viveva senza le scosse che i propri padri o nonni avevano dovuto affrontare tra epidemie e guerre in tutte le latitudini del pianeta, segnata quindi dal torpore e dall’indifferenza. Mtv era il simbolo di tutti questi giovani, che vivevano con disagio l’appartenenza ad un mondo per l’appunto intorpidito. In ogni pagina del romanzo Clay, dopo aver cercato l’esaltazione tra feste esagerate e continue dosi di cocaina, torna a casa e accende la televisione. Che canale? Mtv, ovviamente, talvolta senza il volume, lasciando scorrere immagini patinate e mute davanti ai propri occhi; talvolta facendo il contrario, alzando il volume al massimo senza prestare attenzione alle immagini.

Mtv avrebbe però accompagnato anche le generazioni successive, catturando per sé qualsiasi tendenza nata con spirito underground. Vi ricordate per caso chi produsse e trasmise il famoso Unplugged a New York dei Nirvana nel 1994? E allora Mtv era il simbolo della commercializzazione del post punk, della new wave, poi del grunge, fino al rap e al melodic metal. C’è tuttavia un genere (o sottogenere) che al contrario nacque ad hoc per Mtv, formandosi a sua immagine e somiglianza, quando questa era ormai la norma anche per i suoi detrattori della prima ora e nessuno trovava più nulla di strano se una band si professava indipendente durante un proprio concerto in prima serata sull’apposita rete. Stiamo parlando del pop punk, una sorta di figlio del punk nato per conquistare la televisione. Se ad oggi sembra impossibile immaginare un mondo in cui il rock sta in testa alle classifiche, tanto da considerare profetico qualsiasi gruppo capace di riuscire nell’impresa, fino a poco più di 20 anni fa ciò era la normalità, e il tuo gruppo punk preferito era lo stesso che canticchiava tua madre quando ti veniva a prendere a scuola.

Il pop punk deve molto probabilmente le proprie origini alla progressiva commercializzazione di uno dei gruppi punk più famosi della storia, i Ramones, che lontani dall’immagine di puristi che si riservavano ancora i Clash o i Damned, diventarono per il loro modo di apparire qualcosa di simile a quelle che decenni dopo sarebbero state le boy band. Sulla loro scia a partire dagli anni ‘80 emersero tutta una serie di gruppi che, ad un aspetto ancora da “duri”, accompagnavano in realtà motivetti orecchiabili, seppur ancora sepolti da pesanti distorsioni. Parliamo dei Bad Religion, dei Descendents o dei NOFX, e qualche anno dopo dei Green Day, dei Rancid e degli Offspring. Proprio questi ultimi traghettarono definitivamente la barca del punk nel porto del pop, inteso come “musica mainstream”. Pretty Fly (For a White Guy) e Why Don’t You Get a Job? nel 1998 entrarono stabilmente nelle rotazioni di Mtv e Americana, l’album da cui erano estratte le due canzoni, fu boicottato dai fan del gruppo, contrari alla commercialità dei nuovi suoni. Quanto vendette Americana? 11 milioni di copie, conquistando cinque dischi di platino. Mtv divenne il Re Mida dell’industria musicale.

Il passo successivo, quello della definitiva trasformazione del punk in genere totalmente pop, fu compiuto da una nuova band del giro, proprio i blink-182, che furono i primi a nascere effettivamente a immagine e somiglianza di Mtv. Non c’era più alcuna parvenza di “teppisti”. I punk adesso sono dei simpatici skater del quartiere che si vestono con le maniche lunghe e i bermuda, hanno qualche piercing e dei tatuaggi e, ops, ogni tanto dicono delle parolacce. Le chitarre diventano sempre meno distorte e le canzoni sempre più orecchiabili, riempite di “na na na” in ogni salsa. Così, nonostante siano sconosciuti ai più, l’album Enema of the State vendette 15 milioni di copie e per più di un anno e mezzo occupa stabilmente le prime posizioni delle classifiche di tutto il mondo. Ecco la completa trasformazione del punk in favore della nuova divinità, Mtv. Chiedete per strada in quanti conoscono London Calling e in quanti All the Small Things, ne rimarrete stupiti. Proprio quest’ultimo singolo diventa definitivamente il simbolo di questa nuova ondata. Il video è carico di citazioni goliardiche ad altri artisti che in quel momento spopolano sempre su Mtv da Christina Aguilera a Britney Spears, arrivando fino ai Backstreet Boys.

Da Enema of the State in poi la svolta è imminente per tutti. Si pensi ai Green Day, anche loro accusati dai fan della prima ora di commercializzazione per Dookie (1994), che pure era un album che conservava ancora certe sonorità del più tradizionale punk, e che invece si presentano al nuovo secolo con Warning, dalle marcate sonorità pop. E oltre a loro ecco il battesimo di fuoco per un’intera ondata canadese: i Simple Plan, Avril Lavigne e, soprattutto i Sum 41. Si tratta di artisti che nacquero con la quasi manifesta volontà di approdare in pianta stabile su Mtv, replicandone le sonorità in voga e citandone allo stremo i videoclip.

Mtv era da tempo il più fedele specchio della società americana, e ciò è ancora più fortemente confermato dalla svolta avvenuta dopo l’11 settembre del 2001. Nel momento in cui la generazione del pop punk perse l’innocenza, con le Torri Gemelle che si infransero sul suolo di New York portando con sè gli anni della spensieratezza patinata che aveva caratterizzato i decenni immediatamente precedenti, anche Mtv e i gruppi in questione cambiano rotta. Ecco allora la camaleontica trasformazione dei gruppi già citati, che abbandonarono l’estetica ipercolorata che li aveva accompagnati precedentemente per operare una svolta verso quella emo, ovviamente sempre con sonorità tutt’altro che hardcore. I capelli gellati e ossigenati di Deryck Whibley (leader dei Sum 41) diventarono improvvisamente neri, a coprire gli occhi. I suoi bermuda oversize diventano degli attillati jeans strappati. E i blink-182 non citano più ironicamente i Backstreet Boys, ma flirtano con The Nightmare Before Christmas e duettano con Robert Smith, cantante dei Cure ed icona dell’estetica gotica. Ultimi, ma non per importanza, i più recenti invitati al banchetto, i My Chemical Romance di Gerard Way, dalle sonorità apparentemente più dure (forse più sinceramente gotiche), ma comunque innegabilmente pop. La vera trasformazione sta nell’immagine, non più sorrisi e scherzi al luna park nei videoclip, ma cantanti che si struggono durante funerali e marce funebri, vedi Helena, proprio dei My Chemical Romance.

Si tratta dell’apice toccato dalla pop punk generation di Mtv. Gli album pubblicati in quel periodo post 2001 sono i più grandi successi commerciali di ciascuna band. Da American Idiot dei Green Day a Chuck dei Sum 41, dall’Untitled dei blink-182 a The Black Parade dei My Chemical Romance, si tratta di dischi capaci di alternarsi in cima alle charts di vendite di tutto il mondo. Ciononostante si tratta di una sorta di canto del cigno. Nessuno di questi gruppi (ad esclusione dei Green Day, forti della propria longevità e quindi del loro variegato pubblico) riuscirà a replicare il successo, fino ad essere definitivamente relegati ai margini della cultura pop. Quasi tutti i gruppi sparirono dalle classifiche, alcuni perfino si sciolsero. Non può che essere significativo a tal proposito lo scioglimento dei blink-182, la cui parabola si spegne dopo pochi anni in cui erano stati tra i più famosi artisti al mondo.

Perché succede tutto ciò? Perché viene meno il terreno fertile su cui il pop punk poggiava le proprie radici: Mtv. La regina incontrastata della scena musicale degli ultimi 20 anni deve per la prima volta nella propria storia fare i conti con dei validi competitor. Dal 2005 esiste Youtube, che in breve tempo fa apparire la televisione come un dinosauro, quantomeno per gli spettatori più giovani. E proprio Youtube cancella il monopolio (di fatto) che Mtv aveva non solo sulla distribuzione dei videoclip e dei concerti registrati, ma anche sulla sua possibilità di far emergere gli artisti più adatti al proprio target. Se con la televisione l’emittente decideva cosa il proprio pubblico avrebbe visto e ascoltato, con il web questi è molto più facilitato nell’esplorare nuove frontiere, nuovi suoni, nel cambiare i propri gusti liberamente. Negli stessi anni nascono anche i talent show, che alla musica in senso stretto accompagnano lo spettacolo di una competizione simile a quella sportiva, con infinite possibilità di polemica (e quindi di pubblicità) quotidiana. Nel 2006 nasce Spotify, che nel decennio successivo riuscirà a spodestare anche Youtube stessa dal proprio trono. Non serve più neanche girare un videoclip musicale, al massimo lo si fa collateralmente, tra le altre cose. Mtv parallelamente è costretta a ridurre sostanzialmente i contenuti musicali, trasmettendo sempre più serie tv e reality shows, per giunta non di altissimo livello.

E i gruppi pop punk che fine hanno fatto? I loro ascoltatori di un tempo sono gli artisti di oggi, con la conseguenza quasi diretta che ci sia un piccolo ritorno di determinate sonorità, ma niente di paragonabile all’epopea d’oro della Mtv generation. Alcuni di loro esistono ancora, seppur stentando a riempire i palazzetti (band che un tempo facevano tour anche solo negli stadi). Altri dopo lo scioglimento sono tornati insieme per cavalcare l’onda dell’amarcord (vedi i blink-182), collezionando sold out per l’anno successivo, senza però effettivamente aggiungere nulla alla loro precedente collezione. Avete presente Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo? Ecco, sono quella roba lì. Ma d’altronde nessuno torna più a casa e di riflesso quasi istintivo accende la tv per vedere cosa passa in quel momento su Mtv, per ascoltare i blink cantare “Please stay until I’m gone / I’m here hold on /To me I’m right here waiting”, una sorta di supplica che oggi, vedendoli alla soglia dei 50 anni, fa quasi tenerezza.

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