L’uomo che uccise Don Chisciotte. Incontro con Terry Gilliam e Nicola Pecorini

Il regista e il suo abituale direttore della fotografia sono a Roma per presentare il progetto finalmente concluso dopo decenni di travaglio. In sala dal 27 settembre, dopo il passaggio a Cannes2018

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Fosse arrivato trottando, con due noci di cocco in mano ad imitare il rumore degli zoccoli di un cavallo, probabilmente avremmo capito che Terry Gilliam il suo Graal lo ha trovato già da tempo.
Quella scena però continuerà ad essere irriproducibile dal vivo, tanto l’incontro con la stampa romana per L’uomo che uccise Don Chisciotte non è stata di tono meno pythonesque.

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Perché dopo una genesi durata quasi trent’anni, degna dell’Herzog di Fitzcarraldo, come si fa a non far diventare ogni lancio del film una straordinaria occasione per festeggiare?
E a partecipare a cotanto giùbilo c’era anche Nicola Pecorini, direttore della fotografia e fedelissimo sostenitore del progetto («continuavo a dire no ad altri lavori, per poi non fare nulla!», scherza).
Per lui Gilliam non ha più segreti (era stato dop anche di Paura e delirio a Las Vegas, Tideland – Il mondo capovolto, I fratelli Grimm e l’incantevole strega,  Parnassus, e The Zero Theorem – Tutto è vanità), soprattutto dopo aver condiviso una certa idea di film e vederla poi mutare col tempo che passa: «Sono stato testimone dell’evoluzione del film. Doveva essere molto più grandioso – centinaia di comparse, viaggi nel tempo – epico come il romanzo di partenza. Mano mano, vuoi per questioni economiche, vuoi per evoluzione della specie, è diventato un film molto più intimo ed autobiografico, ma questo Terry non lo ammetterà mai!»

Ma Gilliam non riesce a dargli torto. Del resto L’uomo che uccise Don Chisciotte è soprattutto un omaggio all’immaginazione, al saper miscelare raziocinio e voglia di sognare: «Ciò che mi interessava era la battaglia tra fantasia e reale. Don Chisciotte è il sognatore, Sancho Panza è la persona radicata nella realtà. Ed è per questo che ho continuato a credere in questo progetto. Perché le persone ragionevoli mi dicevano “fermati!”. Ma io non credo nelle cose ragionevoli, credo nelle cose irragionevoli. In ciò Don Chisciotte è molto pericoloso! Quando inizia a viverti nel cervello non riesci più a liberarti di lui…».

Terry Gilliam e Jonathan Pryce

Gilliam è raggiante, spavaldo e divertito. Certe sue considerazioni suonano quasi da mental coach:  «Mi piacciono i miei sogni! Anzi gli rimango aggrappato disperatamente perché la vita alle volte può essere molto ripetitiva, mentre i miei sogni non lo sono mai».
E mentre pronuncia quelle parole la mente gli dev’essere andata a Jonathan Pryce: «Jonathan per 15 anni avrebbe voluto interpretare quel ruolo [Don Chisciotte] ed io non l’ho mai ingaggiato. Alla fine, quando è successo, la sua performance ha aggiunto moltissime cose, inglobando in questo personaggio tutti i caratteri shakespeariani della sua carriera».

Fortissima è infatti l’affinità tra Pryce ed Adam Driver, quest’ultimo nel ruolo del cinico regista pubblicitario.
Quando iniziarono le riprese nel 2000 quella parte doveva essere di Johnny Depp, poi però ci fu l’incontro con l’attore californiano: «L’ho conosciuto in un pub a Londra, senza che io avessi mai visto nulla dei suoi lavori. Ero stanco della mia idea originale e siccome lui non si muove e non si comporta come una star del cinema ci siamo piaciuti ed ha avuto la parte!».

E’ stata una questione di tempo e di stimoli, a quanto pare. Poi conclude: «Sono un tipo mistico, penso che il film in realtà si sia scritto da solo. Soltanto che è stato uno scrittore molto lento!».

Allora sul finale la domanda sorge ancor più impellente di prima: non sarà che Terry Gilliam il Santo Graal lo ha trovato veramente?

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