Inshallah a Boy, di Amjad Al Rasheed

Una sorta di distopia su una cultura morente ma comunque pericolosa, raccontata attraverso il corpo e i gesti della sua protagonista, che però solo raramente entra davvero nel caos degli eventi.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Dall’Iran di Leila alla Giordania di Nawal, come se ci fosse un filo rosso che porta certo cinema contemporaneo, teso tra l’Asia e l’Africa mediterranea, a interessarsi sempre più di voci femminili. E a colpire è soprattutto il minimo comun denominatore di questi racconti, che passano quasi tutti per il denaro, l’imprenditoria, i debiti, indici dell’indipendenza delle protagoniste femminili e del controllo che su di esse esercitano le società patriarcali in cui sono inserite.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Così, se nel film di Roustayi Leila era protagonista di un crudele melodramma al cui centro c’era il tentativo di iniziare un’attività imprenditoriale, Nawal è una donna costretta a ricostruire il suo mondo che si è distrutto nel giro di una notte, quella in cui è morto il marito. Mai davvero sostenuta dal fratello, accerchiata dal cognato, che le chiede conto dei soldi del suo pick up, decisa a non rinunciare la piccola eredità del marito, che secondo una legge antiquata dovrebbe spettare proprio al cognato, Nawal cercherà in tutti i modi di fingersi incinta di un maschio per provare a prendere tempo e non perdere la casa.

Mancano forse al film di Rasheed certe illuminazioni che puntellavano lo splendido Leila e i suoi fratelli, sorta di punti di fuga che alleggerivano la sorte quasi segnata della protagonista, mostrandole uno spiraglio di luce. Rasheed fa invece fatica a lasciare spazio vitale alla sua Nawal. Come se ormai si trovasse di là dal baratro, come se Inshallah a Boy fosse una sorta di distopia della legge patriarcale, che ormai ha modellato a sua immagine il mondo con cui si interfaccia la protagonista.

Ecco forse il film va affrontato dalla giusta prospettiva. Probabile che al film di Rasheed interessi poco essere, come si è già letto, un thriller della maternità, vuoi anche perché quando decide di entrare nelle zone del genere lo fa senza mai troppa convinzione (sebbene non manchino certi bei passaggi, come il dialogo attraverso cui Nawal inizia a intessere la trama dell’inganno).

Probabilmente il film di Rasheed è più riuscito come commedia amara dell’assurdo, che intrappola protagonista negli ingranaggi di una burocrazia insensata di un paese che non la capisce più, che rende Nawal una sorta di controcampo su cui rimbalzano certe tare culturali incomprensibili, che imprigiona in una routine sempre uguale. A Inshallah A Boy gli manca forse il grande affondo, che nei suoi momenti centrali, quelli maggiormente argomentativi, non riesce a essere meno che illustrativo, didascalico. Ma è evidente che ad Al Rasheed (autore anche dello script) abbia a cuore ciò che racconta e la sua protagonista, che guarda con fiducia e tenerezza, spesso lasciandole il controllo del film. Il punto forse è che a tratti, nei confronti della brava…è  fin troppo protettivo. Non le fa mai affrontare davvero il vortice che racconta, la lascia sul margine, ingranaggio centrale di un progetto che però, così, pare più un processo laboratoriale che un racconto a suo modo carnale, concreto.

Eppure ci sarebbe tutto un altro film, vorticoso, incontrollabile, in certi exploit tutti costruiti sui gesti, sul corpo, di Narwal, che scatta curiosa ogni volta che suona il secondo cellulare del marito morto, convinta che lì è custodito l’ultimo segreto dell’uomo, che appare fragile ma risoluta nella sequenza in macchina con il collega che da sempre è innamorata di lei, che scappa verso l’orizzonte alla guida di quel pick up che finalmente riesce a governare, in cui pare davvero trovare una voce che avrebbe potuto modellare ancora di più il tessuto, il linguaggio del racconto. Ma forse fa parte del gioco, forse è tutto coerente con una narrazione comunque amarissima. Forse questi sprazzi di libertà sono l’unica cosa che ci si può permettere nella distopia. Almeno prima della rivoluzione.

 

Titolo originale: Inshallah Walad
Regia: Amjad Al Rasheed
Interpreti: Mouna Hawa, Seleena Rababah, Hitham Omari, Yumna Marwan, Salwa Nakkara
Distribuzione: Satine Films
Durata: 113′
Origine: Giordania, Francia, Arabia Saudita, Qatar, 2023

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array