Kratos vs. Dante

Devil May Cry è stato un gioco rivelazione e una delle "killer application" della Ps2: uno di quei giochi per cui valeva la pena di comprarsi l'hardware. Ben due volte Capcom ha cercato di bissare – invano – il successo. Ed ecco ora arrivare uno spartano sanguinario ed ignorante che massacra la progenie dei demoni. O tempora o mores!

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Devil May Cry, pubblicato da Capcom nel 2001 per l'allora giovane Ps2, si era rivelato – inaspettatamente – qualcosa di più di un gioco di successo. Si era rivelato bensì una vera e propria "killer application", uno di quei giochi che uno si compera la consolle per giocarli (e non è che la Sony ne abbia molti: oltre a DMC, Gran Turismo, Tekken, Ace Combat, Metal Gear Solid gli altri successi esclusivi sono pochi e discutibili – certo sempre meglio del concorrente Microsoft…). E la Capcom ha giustamente cercato di sfruttare la gallina dalle uova d'oro con un secondo e recentemente con un terzo capitolo. Facendo due buchi nell'acqua. Non tanto perché il 2 ed il 3 di DMC siano brutti e neppure perché siano poco originali (da quando la mancanza di originalità è una discriminante seria per i prodotti di un'industria seriale?). Del resto c'è chi sfrutta un brand molto più biecamente di Capcom: pensiamo ad Eidos che mantiene in vita – probabilmente con l'agente zombificante prodotto dall'Umbrella Corp. – Lara Croft tanto da convincere tutti che sia ancora un personaggio cool quanto basta da farci sopra addirittura due film; pensiamo alla Id che dopo essere assurta alla storia dei videogiochi per Doom rischia di esserne cacciata fuori a calci per Doom 3, sequel pompatissimo graficamente ma irrimediabilmente più scialbo dell'originale. Semplicemente la Capcom ha voluto rendere DMC 2 e 3 più ricchi, interessanti, intriganti, difficili mentre la qualità fondamentale del capostipite era esattamente la linearità, la semplicità, lo "straight to the heart" che acchiappava il giocatore dal primo all'ultimo momento di gioco. E che lo spingeva a rigiocarlo mentre degli altri due il desiderio d'abbandono arriva addirittura prima del primo completamento. Ma niente paura: dal sottobosco c'è sempre qualcuno pronto a fare le scarpe ai campioni non più in grado di stare in piedi sul podio: è il caso stavolta di God of War, realizzato dalla stessa Sony grazie al suo team di sviluppo americano di Santa Monica. God of War riesce nel tentativo di ricreare le esaltanti atmosfere del primo DMC allo stesso tempo però cercando un proprio stile peculiare. Come?

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La storia, ambientata in una Grecia antica dominata dai poteri degli dei che muovono esseri umani e fiere mitologiche come pedine su una scacchiera, non è particolarmente esaltante: un guerriero spartano, Kratos, combatte al fianco di Athena contro Ares, il dio della guerra che minaccia di distruggere la sua città. Ovviamente Kratos dovrà combattere contro ogni sorta di guerrieri e mostri ispirati alla mitologia greca (serpenti marini, meduse, minotauri, ecc.) nel più puro stile arcade in terza persona che ha ha caratterizzato la serie di DMC, con tanti nemici che ci assalgono in ogni momento e boss ad ogni pie' sospinto con strategie di combattimento specifiche da adottare per ognuno. Presente il consueto meccanismo di punti esperienza che permette di sbloccare avanzamenti nelle capacità e nella letalità del guerriero. In più proseguendo nella storia Kratos potrà acquisire i poteri delle divinità a lui alleate e dei mostri uccisi. Ovviamente non ci sono armi da fuoco ma la combinazione dei poteri con l'arma di Kratos costituita da due spade unite tra loro da una catena è decisamente appagante in quanto a distruzione. La fluidità è garantita dall'assenza di caricamenti e anche la grafica riesce bene a spremere le risorse della non più giovanissima consolle. Tutto ciò però è finora solo interessante. Qual è la molla che fa scattare il gioco ad un gradino più in su?

Probabilmente l'essere God of War un gioco "adulto". Non nel senso che tratti tematiche impegnate o che mostri, se non in minima parte, parti anatomiche sessualmente eccitanti. Ma piuttosto nel senso che introduce emozioni tipiche dell'universo adulto, senza cessare mai in alcun modo per questo di essere un gioco (anzi, teorizzando involontariamente il fatto che ormai la maggior parte del pubblico dei videogiochi vada anagraficamente dall'adolescenza in su). Emozioni "distruttive": come la follia e il desiderio di morte di cui vediamo preda Kratos proprio nel filmato iniziale dove, sconvolto dagli incubi e dai rimorsi provocati in lui dagli dei per la sua crudelissima condotta da guerriero consistente nel trucidare, torturare, violentare qualsiasi cosa potesse passare per nemico, si getta per porre fine al tormento dalla più alta rupe dell'Ellade. Dettagli come il prigioniero in pericolo che preferisce morire piuttosto che essere salvato da Kratos o dal portarsi sulla propria nave un paio di sgualdrine per far passare il tempo durante le traversate mediterranee. Non si tratta tanto di vedere due donne seminude quanto del loro essere donne di piacere ciò in cui consiste l'"essere adulto" del gioco, quel suo quid che riesce a conferirgli una marcia in più. Ed a ciò contribuiscono ovviamente i massacri resi sanguinolenti senza ritegno, le barbare fatality riprese idealmente da Mortal Kombat con cui Kratos può terminare i propri nemici, dai più infimi ai boss. Insomma un gioco che non fa finta ipocritamente di volersi rivolgere a tutte le fasce d'età solleticando pruriti al basso ventre – ma nulla più – magari con la procacità della protagonista (do you know Lara Croft?). Un gioco che è sì uno spaccapulsanti per la freneticità dei combattimenti ma che non per questo non è conscio di rivolgersi ad un determinato target ed anzi ne fa un punto di forza sollevandosi dalla mediocrità di semplice clone. Magari non sarà dunque una killer application ma si tratta sicuramente di un gioco che i possessori di Ps2 devono provare.

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