“La bottega dei suicidi”, di Patrice Leconte

la bottega dei suicidi
Pur continuando a guardare nella direzione di Tim Burton per gran parte del film, La bottega dei suicidi sterza decisamente dallo stile dell’animazione burtoniana. In una raffinata caricatura traboccante di humour tetro che si muove tra le maglie di un tema difficile come il suicidio, Leconte cerca tutta la bellezza e la dinamicità di un disegno squisitamente tradizionale
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la bottega dei suicidiLa vita non è mai stata tanto grigia, volti ormai arresi e scavati dallo sconforto si aggirano tra palazzi tanto alti da cancellare anche il sole. Non resta allora che il suicidio. Inizia così il primo film d’animazione di Patrice Leconte, dal volo di un piccione che si vede costretto a evitare, quasi fossero foglie d’autunno, un numero incredibile di corpi che si gettano da case e palazzi. Ma se non si può fare altro che lasciare questa terra, tanto vale andarsene con stile. Basta con gli ormai scontati suicidi in pubblico, peraltro severamente vietati dalla legge. Benvenuti alla bottega della famiglia Tuvache, una solida reputazione costruita di generazione in generazione e i più inventivi ed esotici ritrovati per dipartite di ogni gusto. Ovviamente tutti di certificata letalità, come viene sottolineato già dalla prima delle tante canzoni che affollano il film, un numero musicale che, presentando il commercio dei Tuvache, fa tornare alla mente la discesa di Victor nel regno dei morti de La sposa cadavere.
E nel suo tentativo di ibridare l’anima profondamente dark de La bottega dei suicidi con la commedia musicale, è proprio Tim Burton il riferimento principale scelto da Leconte per dar forma al romanzo di Jean Teulé e alla battaglia combattuta dal piccolo Alan, il terzogenito dei Tuvache che proprio non ne vuol sapere di abbandonarsi allo scenario di morte che lo circonda e di togliersi dalla faccia quel sorriso gioioso così poco adatto per mandare avanti i macabri affari della bottega. Non importa se il padre lo spinge a fumare nella speranza che il piccolo venga stroncato da un cancro ai polmoni, la vita vale comunque la pena di esser vissuta, fino all’ultimo sorso.
 
Se Leconte fatica più di una volta a gestire la componente musical de La bottega dei suicidi e se il messaggio che, al contrario del romanzo, ci consegna il trionfo finale di Alan, ovvero che la felicità è ancora possibile, basta imparare a guardare la vita con occhi diversi, pecca di una certa banalità, forse necessaria a rendere sopportabile la visione ad un pubblico di più piccoli, le cose migliori de La bottega dei suicidi vanno cercate altrove. Innanzitutto, nella raffinata caricatura traboccante di humour tetro con la quale Leconte si muove tra le maglie di un tema difficile come il suicidio. Inoltre, pur continuando a guardare nella direzione di Tim Burton per gran parte del film, La bottega dei suicidi sterza decisamente dallo stile dell’animazione burtoniana. Lasciati ad altri pupazzi e universi in computer grafica, Leconte cerca tutta la bellezza e la dinamicità di un disegno squisitamente tradizionale, che non ha paura di mostrare il suo tratto, con quei suoi contorni spessi volutamente esibiti. C’è poi quella magnifica visione che è lo spogliarello di Marilyn, la sorella del protagonista, con noi a guardarla danzare nel suo dolce e conturbante risveglio dei sensi insieme ad Alan e ai suoi amici, perchè alla fine quello che ci fa continuare a sperare sono proprio queste fugaci apparizioni, piccoli momenti clandestini che continuano a farci innamorare della vita. E del Cinema. E’ dunque il Cinema che, ancora una volta, ci salva la pelle, non è forse quello che ci dice Leconte quando, anzichè far precepitare nel vuoto il suo piccolo Alan, lo lascia rimbalzare allegramente sul poster de Il porto delle nebbie?
 
 
Titolo originale: Les magasin des suicides
Regia: Patrice Leconte
Interpreti (voci originali): Bernard Alane, Isabelle Spade, Isabelle Giami, Kacey Mottet Klein
Distribuzione: Videa-CDE
Durata: 85’
Origine: Belgio, Canada, Francia, 2012
 
 
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