La legge del desiderio, di Pedro Almodóvar

Un film che corre a doppio filo tra realtà e finzione, amore e morte, solitudine e l’essere desiderati. E che trova nei corpi vulnerabili e imperfetti la sua espressione diretta.

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Il cinema di Almodóvar è uno spettacolo condiviso, partecipato, dove anche un atto di masturbazione solitaria diventa un rito di piacere collettivo con la voce fuori campo che guida il ragazzo, e noi spettatori che osserviamo da una posizione dominante. Le immagini ci rivelano alla fine la finzione della scena – stiamo guardando un film; ma quasi senza soluzione di continuità il virtuale si fa reale: un giovane (Antonio Banderas) esce dalla sala e va in bagno a sfogare le sue pulsioni, ripetendo le parole della pellicola, “fottimi, fottimi”; dissolvenza sulle labbra del ragazzo che trasudano sensualità come in un horror picture show.

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In La legge del desiderio la scrittura freme sotto le dita di Almodóvar che, alla stregua del protagonista Pablo (Eusebio Poncela), regista di successo, è intento a comporre una storia che corre a doppio filo; ora è un cavallo al galoppo, ora al trotto, poi s’impenna e s’imbizzarrisce. Pablo ama Juan (Miguel Molina) che apparentemente non lo ricambia; subentra Antonio che sviluppa per Pablo un’ossessione che lo spinge a tramare per averlo soltanto per sé. I titoli di testa, con la musica di Bernardo Bonezzi, sono la fanfara che preannuncia l’intrigo e il crimine. Risuona tutto Hitchcock (con tanto di cameo di Almodóvar) e il linguaggio che il cinema classico è andato a codificare nel genere: le suggestioni sin troppo esplicite di una scena (ripetuta) – Banderas che gioca a tiro al segno con un fucile; lettere firmate con pseudonimi; rupi sul mare e perdite di memoria; split screen e occhi che iniziano a girare vorticosamente come le ruote di una macchina. Almodóvar ci delizia con un umorismo a tratti composto (l’omicidio al chiaro di luna sulla canzone di Buscaglione o l’inutile quanto buffa coppia di agenti di polizia), che scivola fantasticamente nel grottesco tipico del suo cinema (l’altare dedicato alla Madonna tra fiori, santini, statuine di Marilyn e barbie cowgirl).

È difficile parlare d’amore senza tirare in ballo la morte, che prima danza tra i due ragazzi innamorati di Pablo e poi tra i due amanti sopravvissuti in una delle scene più vere, drammatiche ed emozionanti del regista: nei pochi minuti finali, che a noi sembrano un’ora, respiriamo il dolore, il sangue, il sogno, la vita; vorremmo che questa grande illusione continuasse, proprio come in un film che non ci stanchiamo mai di guardare. Ad attrarci sono questi corpi che per Almodóvar hanno da sempre rappresentato un’espressione diretta dei suoi personaggi; li veste di abiti e oggetti che ne enfatizzano le forme, ma spesso sono vulnerabili, imperfetti, in cerca di qualcuno che li completi o che li faccia sentire desiderati. La sorella di Pablo, una Carmen Maura femminile quanto maschile, si sente condannata alla solitudine, i ricordi sono l’unica cosa che le resta. In un momento felliniano, reso ancor più magico dalle musiche, si fa inondare da un getto d’acqua fredda in una sera d’estate di una città palpitante. Ne me quitte pas. Moi, je t’offrirai des perles de pluie venues de pays où il ne pleut pas.

Titolo originale: La ley del deseo
Regia: Pedro Almodóvar
Interpreti: Eusebio Poncela, Carmen Maura, Antonio Banderas, Miguel Molina, Fernando Guillén, Manuela Velasco, Bibiana Fernández, Rossy de Palma, Victoria Abril
Distribuzione: CG Entertainment. In collaborazione con Cinema Beltrade – Barz and Hippo
Durata: 102’
Origine: Spagna, 1987

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
3.5 (2 voti)
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